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Bonus ai prof, decide il preside. Al via referendum anti Buona scuola

Il Miur invia alle scuole la circolare sulla valutazione. E contemporaneamente parte la campagna referendaria contro la Buona Scuola. Quattro quesiti abrogativi: oltre al bonus, no a chiamata diretta, finanziamenti privati e alternanza scuola-lavoro

21/04/2016
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Corriere della sera

Antonella De gregorio

Si avvicina il momento di dare ai prof quel premio in denaro che è tra i tasselli più controversi della Buona Scuola. Un fondo ad hoc di duecento milioni di euro - definito «bonus di merito» e istituito con la legge 107 - verrà distribuito tra tutte le scuole d’Italia e a livello di singolo istituto, ripartito tra quegli insegnanti che durante l’anno avranno fatto il miglior lavoro educativo e didattico. Beneficiari, secondo le stime, circa il 10% dei docenti che, nelle intenzioni della riforma, dovranno fungere da modello e traino per gli altri. Chi contesta il provvedimento ritiene invece che il «bonus» scatenerà solo rabbia e rivalità.

Circolare

Per chiarire le modalità di assegnazione del bonus e rispondere ai dubbi sorti in seguito all’emanazione della legge, il Miur ha diramato una circolare che sottolinea il ruolo del «Comitato per la valutazione dei docenti»: sarà questo organismo (che molti istituti, per protesta, hanno provato nelle scorse settimane a boicottare) a stabilire i criteri per riconoscere e premiare l’attività dei docenti. La decisione finale spetterà però ai dirigenti, che - si legge nella nota del Miur - «individueranno i destinatari del bonus, sulla base dei criteri espressi dal Comitato, nonché sulla base di una motivata valutazione.

Non «a pioggia»

L’organo collegiale, composto da dirigente, tre docenti, due genitori, un componente esterno, individua dunque in autonomia i criteri di giudizio(tenendo conto degli indicatori previsti nel testo della legge: contribuito a innovare la didattica, potenziamento delle competenze degli studenti, miglioramento della comunità) e determina gli importi. L’ultima parola però spetterà al preside, che potrà stabilire con piena discrezionalità l’assegnazione o meno del bonus. Anche lui, a sua volta, sarà valutato, e tra i criteri dovrebbero rientrare anche le modalità di attribuzione del premio in denaro. Nella nota, anche la raccomandazione di «non distribuire il bonus in maniera troppo allargata», ma nemmeno di «destinarlo a un gruppo troppo esiguo di docenti». Unica concessione fatta ai sindacati, la menzione di un «coinvolgimento della comunità scolastica nel suo complesso», nel processo di valorizzazione della professionalità dei docenti. Un Comitato tecnico scientifico istituito dal Miur monitorerà poi l’attuazione delle norme.

Referendum

Norme sotto assedio, peraltro: proprio il premio di merito è nelle mire di sindacati degli insegnanti e di associazioni che hanno indetto, sulla scuola, quattro referendum abrogativi. Presentati il 18 aprile - in una «primavera politica» che ha visto fallire il referendum sulle trivelle il 17 - i quesiti puntano innanzitutto a eliminare il bonus. Si contesta il principio che la valutazione sia prerogativa di uno solo e che il salario accessorio non passi dalla contrattazione, come i sindacati chiedevano. Quello che i sindacati non tollerano è l’idea che il dirigente scolastico diventi anche autorità salariale», ha detto Mimmo Pantaleo, segretario Flc Cgil. Che critica anche la cifra irrisoria (circa 270 euro lordi) che andranno a premiare appena il 10 per cento dei docenti». «A tutti gli altri, che magari fanno le stesse cose e con gli stessi risultati dei “premiati”, non rimane niente», sostiene.

Contro lo strapotere dei presidi

Anche un altro dei quesiti referendari è volto a limitare i poteri dei presidi, in particolare la possibilità di scegliere e confermare i docenti. Una forma di «chiamata diretta» che - sostengono i promotori del referendum - può generare fratture tra scuole d’eccellenza e scuole di scarto, dove andranno a finire i docenti che nessun preside vuole. Un altro quesito mira ad abrogare le norme sui finanziamenti privati a singole scuole. L’ultimo, ad eliminare l’obbligo di almeno 200-400 ore di alternanza scuola-lavoro. Troppo lavoro e troppo difficile reperire le aziende che ospitino gli stagisti. Promotori del referendum, accanto alla Flc Cgil, una decina di associazioni e organizzazioni, molte delle quali hanno partecipato anche al grande sciopero dello scorso 5 maggio. Partecipa anche la Uil, nonostante il segretario, Pino Turi, abbia definito quella referendaria «una strada difficile». «Il referendum è la ratio estrema – sostiene Turi -. Ci auguriamo che il governo decida di intervenire prima. Il Parlamento, infatti, potrebbe modificare le norme sbagliate della 107/2015 e (ri)dare voce ai cittadini per aprire un ampio dibattito sul futuro della scuola pubblica, quella frequentata dal 93% degli studenti italiani».

Legge di iniziativa popolare sul diritto allo studio

Al referendum è stata dedicata una pagina web e sui social si può seguire l’evoluzione della campagna con l’hashtag #scuorum o #referendumscuola. Tra i primi sottoscrittori il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. Tre mesi di tempo per raccogliere le 500mila firme necessarie. Intanto, è partita anche la raccolta firme per una legge di iniziativa popolare sul diritto allo studio, per eliminare le diseguaglianze tra le regioni nell’erogazione delle borse di studio.


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