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Boeri: "I fondi ai ricercatori migliori basta soldi a pioggia alle università"

ito Boeri, economista, già presidente dell'Inps, polemizza con la proposta lanciata su La Stampa da Fabrizio Barca

18/04/2021
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La Stampa

Paolo Griseri

Torino

Assistere chi ha più bisogno e premiare le eccellenze nella ricerca: «Ciò di cui non abbiamo assolutamente bisogno è mischiare i due piani. Il sostegno alla ricerca è una cosa. L'assistenza sociale un'altra». Tito Boeri, economista, già presidente dell'Inps, polemizza con la proposta lanciata su La Stampa da Fabrizio Barca, sostenitore di un sistema che «preveda un fondo premiale da assegnare a progetti di sviluppo ambizioso» per «trasformare le conoscenze specialistiche in sapere collettivo». Discussione di attualità nel momento in cui l'Italia si prepara ad una stagione di riforme, favorita anche dai fondi europei legati alla pandemia.

Boeri, che cosa non la convince della proposta di Barca?

«Che vuole decidere lui a chi dare i soldi e a chi no. Che cosa sono i "progetti di sviluppo ambiziosi"? Chi decreta che un'università sta trasformando le conoscenze specialistiche in sapere collettivo e un'altra no? Dietro alla fumosità di molti discorsi si cela il tentativo di voler decidere in tutta libertà a chi dare e a chi no».

Perché sostiene che la ricerca non può essere sostenuta con finanziamenti a pioggia?

«La ricerca è per natura distribuita in modo non uniforme tra le università. Ci sono dipartimenti eccellenti in una università assieme ad altri scadenti. Ci sono economie di agglomerazione. I bravi ricercatori attraggono altri bravi ricercatori. Dare a tutti premi uguali vuol dire disincentivare la ricerca. C'è chi ha sostenuto nelle ultime settimane, in risposta a un mio articolo con Perotti che anche i premi per l'eccellenza vanno dati a tutti! Non si rendono conto che se siamo tutti eccellenti, nessuno è eccellente».

Ma così non si privilegiano solo le università più ricche?

«No assolutamente. Ci sono dipartimenti di ottimo livello in università periferiche, in condizioni ambientali difficili. Dobbiamo aiutarli. Non lo faremo finché daremo a loro tanto quanto diamo a dipartimenti dove non si fa ricerca. Preciso che sto parlando di fondi per incentivare la ricerca non del finanziamento pubblico alle università che certo deve arrivare a tutte le università».

Lei polemizza anche con le scelte del ministro Brunetta sulle assunzioni nella pubblica amministrazione. Che cosa non funziona a suo parere?

«Nei prossimi cinque anni potremo assumere circa mezzo milione di dipendenti pubblici. Un ricambio generazionale importante, che riguarda circa un sesto dei pubblici dipendenti italiani. È una occasione storica per portare nuove competenze di cui si ha assoluto bisogno e per cambiare l'identità del pubblico impiego».

Non la convince la fisionomia attuale?

«Le ricerche comparative dicono che spesso i pubblici dipendenti italiani non interpretano il loro lavoro come una missione al servizio dei cittadini».

Da che cosa lo deduce?

«Dal fatto che, mediamente, si dedicano meno dei loro colleghi francesi o tedeschi o nei paesi nordici, ad attività di volontariato e caritatevoli o di alto valore sociale».

Lei sa che dicendo questo si attirerà le ire di molti?

«Sono indagini sull'uso del tempo a dircelo. Chi si dedica meno ad attività di valore sociale ha meno a cuore il bene comune. E se è un dipendente pubblico finisce anche per fare il suo lavoro con minore attaccamento. In fondo si tratta di lavoratori che hanno come missione la cura della cosa pubblica, sono al servizio dei cittadini. Per questo la scelta di chi occuperà quelle 500 mila scrivanie può essere decisiva».

Un altro ricambio importante è quello negli organici della scuola. Anche in quel caso lei ha critiche da muovere?

«Si perché si è di fatto cancellato un concorso ordinario già in atto per dare una volta di più priorità a chi ha già anzianità di servizio. Scoraggiamo le persone maggiormente qualificate, molti eccellenti giovani laureati dal fare il mestiere più importante del mondo: investire nel capitale umano. E tra l'altro senza risolvere il problema delle cattedre vuote al Nord. Nella scuola ci vogliono concorsi selettivi aperti a tutti. Invece di continui innesti emergenziali e non selettivi».

Si dice che i fondi del Recovery devono essere un'occasione per riformare l'Italia e ammodernarla. Lei vuole usarli per premiare il merito?

«I fondi del Recovery sono di due tipi: le sovvenzioni a fondo perduto e i prestiti. Credo che faremmo meglio ad utilizzare subito le sovvenzioni a fondo perduto. Perché l'emergenza sociale determinata dalla pandemia è ancora molto acuta».

Come utilizzerebbe le sovvenzioni?

«Per assistere chi non ce la fa. E per riformare il sistema degli ammortizzatori sociali. Garantendo, ad esempio, la cassa integrazione anche ai dipendenti delle piccole imprese anche al di fuori dell'emergenza covid ».

Certo, ma quelle imprese non la pagano, a differenza delle grandi e dei loro dipendenti che accumulano i fondi ogni mese.

«Si tratta di trovare il modo di far partecipare alla cassa anche le piccole imprese, magari con aliquote meno onerose di quelle che pagano le più grandi e di dare i soldi direttamente ai lavoratori all'atto di presentazione della domanda».

Quali altre riforme degli ammortizzatori sarebbero necessarie?

«Bisognerebbe mettere mano al reddito di cittadinanza, raggiungendo davvero i poveri, le famiglie con figli. Creando un sistema che non escluda chi è in Italia da meno di dieci anni e che non ha alcuna forma di protezione. Nei progetti infrastrutturali più che alle grandi opere bisogna pensare alle nostre periferie, a creare occasioni di socializzazione per i giovani nelle aree di marginalità sociale. Vediamo se nel nuovo pnrr ci sarà qualcosa a riguardo. Nel vecchio non c'era nulla».

Basterà tutto questo a far ripartire il Paese?

«No di certo. Saranno necessarie tante riforme a partire dal miglioramento della nostra pubblica amministrazione».

Non pensa che basti la digitalizzazione della PA?

«La digitalizzione da sola non basta. Spesso viene utilizzata come capro espiatorio per coprire responsabilità politiche. Guardi che cosa è accaduto in Lombardia con il fallimento delle campagne di vaccinazione (antinfluenzale e Covid) gestite a livello regionale. Tutte le colpe scaricate sulla società Aria. Ma chi aveva scelto di affidarsi ad Aria anziché a Poste? E se Aria è inefficiente è perché sono stati seguitelogiche strettamente spartitorie nella scelta di molti dirigenti di quella società». —


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