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“Bloccare gli esami è l’estremo tentativo per farci ascoltare”

Questa mobilitazione è solo il primo passo Danneggiare noi è far passare il messaggio che non siamo più un settore strategico

30/08/2017
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la Repubblica

Ilaria Venturi

Giuseppe De Nicolao, 55 anni, ordinario di Automatica a Ingegneria, fondatore del blog accademico Roars, farà saltare l’appello del 6 settembre nel suo ateneo a Pavia.

Perché, professore, sciopera?

«Le ragioni vengono da lontano, quando fu deciso nel 2010 il congelamento degli scatti di anzianità per tre anni, poi portati a cinque. Abbiamo pagato la crisi, come tutti. Doveroso fare un sacrificio. Ma è ingiusto quello che è avvenuto dopo».

Nel pubblico impiego lo sblocco degli scatti è arrivato nel 2015, per voi l’anno dopo e senza riconoscimento giuridico di quegli anni.

«Una discriminazione e una penalizzazione economica ingiuste. Non si capisce perché le categorie non contrattualizzate come la nostra, per esempio magistrati e militari, abbiano avuto un trattamento più favorevole. Non solo il mio stipendio non è diventato quello che avrei maturato se non ci fosse stato il blocco. E va bene. Ma non ci viene riconosciuta l’anzianità acquisita in quegli anni».

Lei ha fatto i conti: quanto ha pesato il blocco nelle tasche degli universitari?

«Si parla di cifre, se si considerano solo tre anni di blocco, che possono superare i centomila euro per un ordinario a metà carriera e si aggirano sugli 80mila euro per un giovane ricercatore. Non sono spiccioli».

Uno sciopero sulle retribuzioni rischia di non essere capito dall’opinione pubblica.

«Non chiediamo aumenti, ma quello che ci hanno sfilato, e solo a noi, dal portafoglio. È come se ci avessero chiesto di contrarre un mutuo senza darci la casa. Se accettiamo un esproprio di questo tipo abbiamo perso dignità. Sarebbe come ammettere di essere colpevoli, ma di cosa? Al di là di intollerabili episodi sui concorsi, il nostro non è un sistema marcio. A me sta a cuore lo stipendio, ma soprattutto che gli studenti possano accedere all’università. La nostra rivendicazione non è che il primo passo, l’urgenza sta nel diritto allo studio. Penalizzare noi significa far passare il messaggio che l’università non è un settore strategico e importante, ed è stato così in questi anni se si pensa che dal 2010 ad oggi abbiamo subito un taglio del 20% in fondi, personale e studenti iscritti».

La Cgil ora propone la contrattualizzazione anche per gli accademici: concorda?

«Un passo da fare con molta cautela. Avere un sistema regolato dal Parlamento significa non venire meno ai dettami costituzionali della libertà di ricerca e insegnamento. È un bene per il Paese avere ricercatori liberi. In America, Trump non vuole che si parli del surriscaldamento globale negli studi scientifici. Il nostro è un ruolo importante per la società».

Con lo sciopero danneggiate gli studenti, era necessario arrivare a tanto?

«Siamo arrivati a questo dopo anni di mobilitazione: tanti tentativi di farci ascoltare caduti nel vuoto. Per noi è un dolore colpire gli studenti, ci ho pensato a lungo prima di decidere per lo sciopero. Con amarezza, osservo che solo così abbiamo ottenuto attenzione. Pronti a fermarci anche domani, comunque, se arriverà un proposta concreta dalla ministra Fedeli».


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