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Benedetto Vertecchi - Scuole trattate come aziende: come sono miopi le riforme che non guardano al futuro

SCELTE DISTORTE Si pensa a fare cassa e non si punta mai sull'educazione: i computer di oggi saranno obsoleti quando i bambini saranno adulti

28/08/2014
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Il Fatto Quotidiano

Se le linee della riforma del nostro sistema educativo sono quelle finora annunciate nelle innumerevoli esternazioni che si stanno succedendo da alcune settimane (reclutamento del personale, orario di lavoro ecc.), c'è poco da stare allegri. E ciò per la semplice ragione che alla base dei provvedimenti che modificano un gran numero di aspetti del funzionamento delle scuole non c'è un disegno educativo, ma la combinazione di due intenti: il primo consiste nel razionalizzare la gestione delle scuole, l'altro nel favorire il passaggio dal sistema educativo alle attività produttive, secondo logiche che, forse, sono appropriate per la gestione delle imprese, ma certo non lo sono per favorire decisioni i cui effetti dovranno potersi apprezzare nel corso della vita di bambini e ragazzi. Rientrano nel primo intento i provvedimenti che riguardano le condizioni di lavoro degli insegnanti e dell'altro personale delle scuole (tecnico, amministrativo, ausiliario), mentre l'orientamento delle attività didattiche, come l'avviamento all'informatica già nella scuola elementare, dovrebbe essere funzionale al secondo intento. In linea di massima, le singole proposte non costituiscono una novità, ma richiamano in modo fin troppo evidente le tre "i" (internet, inglese, impresa) che costituivano il criterio di riferimento per gli interventi sulla scuola attuati, o quanto meno annunciati, dai governi della Destra che si sono succeduti dopo il 2001. Quel che sconcerta è che malgrado sia ormai del tutto evidente la paurosa povertà delle interpretazioni educative sottostanti quel criterio, lo si continui a proporre come premessa per la modernizzazione del sistema. Per quanto possa sembrare paradossale, si continua a intervenire sull'educazione di bambini e ragazzi senza elaborare ipotesi che riguardino il loro sviluppo e le loro condizioni di vita non solo nell'immediato, ma a medio e a lungo termine. Anche ammettendo che certe forme di modernizzazione abbiano un senso, in ogni caso non considerare i cambiamenti che modificano con crescente rapidità il profilo della popolazione avrebbe come effetto l'inefficacia delle misure che a quella modernizzazione fanno riferimento. Tanto per fare qualche esempio, nulla fa pensare che le soluzioni della tecnologia o i modelli produttivi sulla base dei quali sono state effettuate le scelte per l'educazione nella prima parte della vita abbiano ancora senso quando i ragazzi avranno completato il percorso degli studi sequenziali. Il rischio è che si disperda il tempo dell'infanzia e dell'adolescenza in attività che rispondono a logiche anguste, a esigenze di breve momento, e che non di rado sono espressione del condizionamento esercitato dagli apparati ideologici che spianano la via agli interessi delle economie globalizzate.

CIÒ CHE PIÙ preoccupa è che, mentre si rincorrono le esigenze di una modernizzazione effimera, le scuole perdano progressivamente la loro capacità di elaborare progetti a lunga scadenza. È inutile porre l'enfasi sulla valutazione se non si tiene conto che la validità delle scelte educative non si può valutare se non a distanza di tempo. Nessuno dubita che al momento l'inglese sia la lingua di mediazione di gran lunga più diffusa, ma non troppi decenni fa lo stesso poteva dirsi del francese e già oggi c'è chi pensa che sia destinata a crescere rapidamente l'importanza dello spagnolo o del cinese. Intanto, inseguendo il senso comune, si trascura di promuovere una crescita reale della competenza linguistica, che nella scuola può estendersi ad altre lingue solo se si pone attenzione alla qualità dell'apprendimento della lingua italiana. Invece di annunciare la crescita della spesa per mandare i nostri ragazzi a fare un po' di pratica all'estero, come ha fatto la ministra Giannini, meglio sarebbe ricostruire gli ambienti per l'educazione scolastica, che sono inesorabilmente poveri se non comprendono biblioteche bene organizzare e adeguatamente rifornite, spazi per attività teatrali e musicali, luoghi di confronto e di discussione. Lo stesso può dirsi per quanto riguarda altri settori della conoscenza: le scuole hanno impiegato le risorse a disposizione per acquisire dotazioni digitali che, bene che vada, resistono due o tre anni e per le quali non è infrequente che manchi il tempo per arrivare a sviluppare programmi adeguati. Nel frattempo, sono andati in malora i laboratori, le collezioni naturalistiche, le apparecchiature da dimostrazione ecc. Siamo di fronte al paradosso di una scuola sempre più povera alla quale si impone di sprecare risorse che potrebbero costituire un capitale capace di rivalutarsi nel tempo. 


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