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Aumenti e contratti, il Governo convoca i sindacati ma è pronto a farne a meno

Secondo i sindacati, in particolare la Cgil e la Uil, prima di procedere con la riforma del modello contrattuale bisogna chiudere i contratti in scadenza

08/10/2015
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La Tecnica della Scuola

Alessandro Giuliani

Spaventano 3 milioni di statali le parole del ministro Poletti: il governo interverrà sulla riforma della contrattazione anche "se le parti sociali non riusciranno a trovare una via".

Il titolare del Welfare mette le mani avanti, in occasione della sua visita all’Expo del 7 ottobre: sulla revisione dei contratti, per la PA scaduti da sei anni, il governo vuole avere il gioco in mano. Sia in presenza dei sindacati e rappresentanze dei lavoratori, sia in caso di rottura delle trattative. Per il responsabile del dicastero del lavoro, "il governo si prenderà la responsabilità di prendere una posizione, ma in questo momento credo che sia ancora da auspicare il fatto che le parti sociali trovino il modo di fare quello che compete loro".

"Noi – ha sottolineato Poletti - continuiamo ad augurarci che trovino una strada per affrontare il tema della riforma della contrattazione". Riguardo ad una possibile convocazione da parte del governo in caso di mancato accordo tra associazioni datoriali e sindacati il governo, secondo Poletti, convocherà le parti "quando sarà il momento, allora decideremo, ma credo che sia utile avere ancora una fase di riflessione nella quale le parti possano considerare la situazione che si è determinata, poi, a quel punto, vedremo".

Secondo i sindacati, in particolare la Cgil e la Uil, prima di procedere con la riforma del modello contrattuale bisogna chiudere i contratti in scadenza. Di diverso orientamento invece il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi che ieri ha chiarito che la sua organizzazione non intende chiudere i contratti se prima non si metterà mano al modello contrattuale.

Alle parole di Poletti, intanto, è seguito un primo fatto: nel pomeriggio del 7 ottobre, fonti autorevoli hanno comunicato che l'Aran, l'agenzia che rappresenta il Governo nella negoziazione, convocherà le confederazioni sindacali. Quasi sicuramente, per la data del 13 ottobre. Si tratterà del primo incontro per arrivare a ridurre il numero dei settori da 11 a non oltre 4, come previsto dalla mai applicata riforma Brunetta, il decreto legislativo 150/07. Ed oltre ai comparti, da cui poi dipende anche il numero dei contratti, occorre anche portare da 8, a sempre non più di quattro le aree dirigenziali.

Tra le ipotesi per mettersi il linea con la riforma Brunetta c'è quella di cui parla anche la Cgil e prevede di accorpare le funzioni centrali (ministeri, presidenza consiglio, agenzie fiscali, enti pubblici non economici), mettere insieme tutta la sanità, gli enti locali e infine il settore della conoscenza (scuola, università, enti di ricerca).

Intanto, dai sindacati giungono reazioni tiepide. Per il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan, la questione sul modello contrattuale va "ripresa usando il buonsenso", in modo che Confindustria, Cgil, Cisl e Uil si siedano "intorno a un tavolo con il massimo sforzo per definire il modello contrattuale e le relazioni industriali, perché sta a noi definirlo". Furlan su un punto non ha dubbi: "Il salario minimo per legge sarebbe la fine del contratto nazionale".

Dello stesso avviso l’Anief, secondo cui “per sfuggire alla sentenza della Consulta sul blocco illegittimo dei contratti e degli stipendi della Pubblica amministrazione, ormai perdurante da oltre sei anni, il Governo ha pronte le contromosse: ridurre i comparti e le aree contrattuali, anche per favorire la mobilità intercompartimentale; fare spazio ai premi di produttività, abolendo una volta per tutte scatti di anzianità e indennità di vacanza contrattuale; introdurre il salario minimo legale. Con l’attuale titolare della Funzione Pubblica, Marianna Madia, che proseguirebbe in tal modo la strada avviata nel 2009 dal berlusconiano Renato Brunetta”.

“Noi non ci stiamo - dice Marcello Pacifico, presidente Anief -, perché il reddito minimo nel pubblico impiego dovrebbe partire dalla rivalutazione del 4% degli stipendi negli ultimi sette anni. Intanto, lo Stato ridia i 6mila euro a dipendente, in totale fanno 18 miliardi, risparmiati con il blocco dell’indennità di vacanza contrattuale. E poi discutiamo per il futuro”.


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