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Apprendistato senza apprendimento

di Fabrizio Dacrema

29/03/2014
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ScuolaOggi

Il primo approccio del Governo Renzi in tema di formazione e lavoro è tutt’altro che innovativo. Si muove nel solco, purtroppo consolidato nel nostro paese, di un'idea povera del lavoro e della flessibilità, abbassa ulteriormente l'asticella dei diritti e della qualità del lavoro. Continua a illudere gli italiani di poter uscire dalla crisi senza mettere al primo posto lo sviluppo dell’innovazione e la crescita delle competenze dei lavoratori.

Le modifiche introdotte dal decreto del governo in materia di apprendistato snaturano questo specifico tipo di contratto "a causa mista" e rendono ancora più improbabile la prospettiva, diffusamente condivisa, di offrire ai giovani un ingresso al lavoro di tipo formativo. Infatti il decreto Poletti:

  • elimina il vincolo, recentemente introdotto dalla legge Fornero, della conferma in servizio di una parte degli apprendisti assunti in precedenza ai fini dell'assunzione di nuovi apprendisti (attraverso la contrattazione si era fissata la quota del 30 per cento);
  • cancella l'obbligo della forma scritta per il piano formativo individuale dell'apprendista;
  • nell'apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualifica contrattuale viene soppresso l'obbligo di integrazione della formazione tecnico-professionale, di responsabilità dell'azienda, con l'offerta formativa pubblica (non più di 120 ore nel triennio di formazione di base e trasversale disciplinate dalle Regioni);
  • nell'apprendistato per la qualifica e il diploma professionale la retribuzione dell'apprendista, per la parte riferita alle ore di formazione, sarà del 35 per cento della retribuzione del livello contrattuale di inquadramento.

Non è difficile cogliere l'idea di fondo che guida questi interventi sull'apprendistato: la componente formativa del contratto è considerata prevalentemente come una fonte di intoppi burocratici e di inutili perdite di tempo. La formazione, se proprio si deve fare come nel caso dell’apprendistato per la qualifica professionale, allora si deve pagare poco. Per aumentare gli apprendisti si deve ridurre l'apprendistato a una forma di contratto precario molto risparmioso, grazie alla decontribuzione e agli incentivi, e privo di vincoli occupazionali e formativi effettivamente esigibili. Insomma nulla di nuovo. È quello che ha sempre tentato di fare l’ex Ministro Sacconi (a volte ritornano?) senza riuscirci. Ora ci prova il governo della rottamazione a legittimare con un decreto, non emendabile secondo il premier, la ben nota prassi “italiota” dell’apprendistato senza formazione. Non è sempre stato così? La stragrande maggioranza degli imprenditori italiani non ha sempre evaso gli obblighi formativi limitandosi a incassare gli sgravi contributivi? 

A questo punto, se il governo non accetta modifiche, è lecito domandarsi se l'apprendistato professionalizzante, dopo la deregolazione subita, sia ancora un contratto a causa mista meritevole di sostegno da parte dello stato (sgravi contributivi al 100 per cento) e che possa usufruire della possibilità di sottoinquadramento contrattuale fino a due livelli oppure di percentualizzazione della retribuzione. L’indebolimento della componente formativa, fra l’altro, rischia anche un intervento sanzionatorio europeo per violazione della disciplina in materia di aiuti di stato, come già accaduto con i contratti di formazione-lavoro.

La presenza della formazione nel contratto di apprendistato professionalizzante racconta una storia di continuo arretramento: 120 ore annuali minime con la legge 30/2003 (Dlgs 276/2003), poi 120 ore nel triennio con il Testo Unico sull’apprendistato (Dlgs 167/2011) fino alle “semplificazioni” del governo Letta (decreto 76/2013) che rendono facoltativa la formazione in caso di assenza di un’offerta formativa finanziata dalle Regioni e tolgono l’obbligo alla stesura del piano formativo per le competenze di base e trasversali. Ora con il decreto Poletti si arriva alla “soluzione finale”: la formazione diventa completamente un optional nelle mani dell’azienda. Potrà non avvalersi della formazione regionale per le competenze di base e trasversali e, in assenza di un piano formativo individuale dell’apprendista, non sarà nemmeno controllabile sulla formazione delle competenze tecnico-professionali di sua responsabilità.

Questa tendenza della normativa ad appiattirsi sulla diffusa pratica aziendale di evasione degli obblighi formativi non è una “semplificazione” che aiuta le imprese a uscire dalla crisi. La realtà afferma esattamente il contrario: in Europa e in Italia crescono economicamente e aumentano l’occupazione solo le imprese che innovano e formano i lavoratori. In Italia sono poche, in paesi come la Germania sono molte di più anche perché utilizzano l’apprendistato per formare e assicurarsi competenze professionali di alto livello qualitativo. L’ultima indagine Isfol sulla formazione continua ha evidenziato che sono le imprese che formano i lavoratori quelle che innovano e crescono.

Per contrastare la crisi e aumentare l’occupazione si devono allora sostenere le imprese che si impegnano a formare seriamente gli apprendisti per poi assumerli. Non serve deregolare l’apprendistato ma, oltre ai vincoli, è utile introdurre incentivi per le imprese che assumono gli apprendisti e che potenziano la propria capacità formativa.

Nelle recenti linee guida successive al decreto lavoro sono presenti indicazioni utili per qualificare l’attività di formazione interna alle imprese, è prevista l'individuazione di specifici requisiti di qualità in relazione agli spazi e alle professionalità necessarie per realizzare un’azione formativa intenzionale. Si prevede anche la possibilità della formazione a distanza con modalità disciplinate dalle Regioni.

Occorre creare le condizioni perché tutte le imprese che assumono apprendisti siano in grado di realizzare un percorso formativo intenzionalmente finalizzato a formare le competenze contenute nella qualificazione professionale cui il contratto di apprendistato è finalizzato e per la quale sono giustificati gli sgravi contributivi e gli sconti contrattuali. Se le imprese non sono in grado di formare l’insieme delle competenze di base, trasversali e tecnico-professionali che compongono un profilo contrattuale, allora devono interagire con le reti formative del territorio per avvalersi di competenze esterne e co-progettare i percorsi. Un ruolo decisivo lo giocano i sistemi regionali della formazione professionale e la diffusione dei poli tecnico-professionali al fine sostenere, in particolare, le piccole imprese nella formazione di professionalità specifiche (tutor aziendali) e nello sviluppo della capacità formativa dell’impresa. In questo modo l’apprendistato può diventare stimolo e occasione di miglioramento dell’intero capitale umano dell’impresa.

Dopo il decreto Poletti, nel caso dell’apprendistato professionalizzante (la tipologia più utilizzata) non è più possibile garantire né verificare l’acquisizione delle competenze di base, traversali e tecnico-professionali contenute nelle “qualifiche professionali a fini contrattuali” che il testo unico pone come finalità dell’istituto contrattuale.

Il decreto non può restare così. I giovani lavoratori hanno diritto ad acquisire al termine del contratto di apprendistato professionalizzante competenze certificate e spendibili nella stessa impresa, se li conferma a tempo indeterminato, oppure in altre imprese e lavori se invece non li assume.

Da questo punto di vista è importante accelerare la definizione degli standard formativi per la verifica dei percorsi formativi in apprendistato, prevista dall’art. 6 del Testo Unico e per la quale è stato istituito un apposito gruppo tecnico. Una volta definite, le qualificazioni professionali cui l’apprendistato professionalizzante è finalizzato entreranno nel Repertorio Nazionale e saranno certificabili dai servizi territoriali di certificazione delle competenze accreditati dal Sistema Nazionale di Certificazione.

Questa è la via qualificata per sburocratizzare e semplificare l’apprendistato: garantire ai giovani l’apprendimento di competenze spendibili per trovare e cambiare lavoro e per continuare a formarsi.


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