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Anche la cultura tira a campare

Posti esauriti all'università

01/07/2019
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la Repubblica

di Marco Belpoliti

P arlo con un gruppo di studenti che stanno per terminare la scuola superiore in un grosso centro della provincia di Bergamo. Siamo a maggio e tutti dovrebbero avere già scelto il corso universitario. Perciò chiedo: a quale corso di laurea vi iscriverete? Mauro mi risponde a nome degli altri: perché dovrei frequentare l’università? Ho già trovato lavoro in azienda qui vicino, mi danno un buon stipendio per cominciare. Sono in tanti qui, e nelle provincie limitrofe (Brescia, Lecco, Como, Varese), a non proseguire gli studi. Perché studiare ancora, magari in università lontane da casa, se c’è un posto di lavoro pronto per loro in una delle aziende di questo territorio? Mauro mi dice che lui il Politecnico a Milano lo frequenterebbe, ma non è detto che ci sia posto. La scelta fatta anni fa del numero chiuso non aiuta molto chi vorrebbe far crescere la propria professionalità raggiungendo un livello di istruzione più elevato con maggiori possibilità di carriera e di soddisfazione personale. Anche nelle facoltà umanistiche non è facile trovare posto per chi viene dai licei della zona. Federico mi dice che lui è stato alla Statale di Milano e a Milano Bicocca per vedere come funzionano. Ci sono grandi aule con 400 studenti e un solo docente. I governi, che si sono succeduti a partire dalla fine degli anni Novanta, non hanno messo, con qualche rara eccezione, l’istruzione universitaria in cima alle loro priorità. La vicenda dei medici che vanno in pensione, e non sono sostituiti da nessuno, parla chiaro. Ci sono poche strutture, mancano soldi per istituire nuove cattedre d’insegnamento e spesso le università migliori, quelle che sono in testa alle classifiche compilate dagli enti preposti o dai giornali, non sono abbastanza ricettive. Chiunque ha frequentato le università straniere in Europa sa qual è il rapporto quantitativo ottimale docente e discente. Le matricole aumentano di poco, ma non certo per effetto di un qualche piano governativo. Gli atenei si contendono finanziamenti, cercano di crescere in vari modi nonostante le restrizioni delle risorse messe a loro diposizione. Un progetto complessivo non c’è. La scelta di creare le lauree brevi, attuata dai passati governi, non ha risolto il nostro gap con gli altri Paesi europei.

Oggi una laurea breve non si nega più a nessuno, e tuttavia siamo ancora il fanalino di coda. Se si pensa che la rete idrica dell’istruzione perde acqua nella scuola dell’obbligo, in particolare al Sud, dove i tassi d’abbandono sono molto alti, neppure nell’università le cose vanno meglio; persino negli atenei del Nord ci sono continue perdite. Un Paese con pochi laureati non può crescere, né nel senso economico né in quello civile e neppure culturale. Un problema diventato urgente che le conversazioni con gli studenti rende palese. Loro non sanno quanto poco s’è investito nelle università in questi ultimi cinque anni. E non è solo una questione di questo o quel governo, ma d’una intera classe dirigente che non sembra interessata a far avanzare il Paese, a dare un futuro ai giovani che vogliono studiare e istruirsi. Si vive alla giornata, come in tanti altri campi, a tirare a campare, e l’università pian piano affonda.