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Ai dottorati serve una riforma complessiva anziché interventi spot

Anche a seguito di una grande campagna di partecipazione di dottorandi da tutta Italia, il Governo ha deciso di stanziare 15 milioni di euro nella Legge di bilancio per aumentare l’importo minimo delle borse di dottorato a livello nazionale, che da dieci anni era fermo a poco più di 1.000 euro al mese

27/11/2017
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Il Sole 24 Ore

Giulio Formenti*

Anche a seguito di una grande campagna di partecipazione di dottorandi da tutta Italia, il Governo ha deciso di stanziare 15 milioni di euro nella Legge di bilancio per aumentare l’importo minimo delle borse di dottorato a livello nazionale, che da dieci anni era fermo a poco più di 1.000 euro al mese. Al Senato sono attualmente in discussione una serie di emendamenti che, agganciandosi a questa iniziativa governativa, puntano a incrementare lo stanziamento per tale manovra nonché ad introdurre una serie di altri provvedimenti relativi al dottorato.

Gli emendamenti sui dottorati 
Il primo di questi emendamenti in ordine cronologico (57.6) è presentato dalla maggioranza parlamentare a prima firma di Francesco Verducci, recentemente nominato responsabile Università e Ricerca del Pd. Per quanto riguarda il dottorato, è un emendamento volto ad incrementare l'attuale previsione governativa di ulteriori 5 milioni di euro, arrivando così a quota 20 milioni. È l'unico emendamento che prevede delle coperture ministeriali esplicite e ha pertanto buone probabilità di essere approvato. Rispetto alla consistenza del fondo è bene precisare che, in astratto, non è vi una cifra precisa alla quale tendere in quanto non solo l’aumento effettivo in busta paga è variabile in funzione dello stanziamento ma inoltre l'aumento è definito per decreto dal Miur, a seguito di contrattazione con il mondo accademico. Tuttavia, al fine di garantire un adeguamento dell'importo che consenta a tutti i dottorandi italiani di raggiungere il minimale contributivo Inps (attualmente un dottorando lavora 10,5 mesi a fini contributivi), sarebbe auspicabile un fondo complessivo di 30 milioni. Con questi 5 milioni ci si avvicina, dunque, alla cifra senza però ancora raggiungerla, anche se non è escluso che nella successiva discussione alla Camera si possa incrementare ulteriormente lo stanziamento. Esiste inoltre la possibilità, senza dubbio ben accetta, che già al Senato durante la discussione parlamentare sia data la possibilità di riformulare l’emendamento con un ulteriore stanziamento. In questo caso, sarebbe auspicabile che alcuni dei fondi venissero da fonti non originariamente destinate al mondo dell'università, di modo che gli atenei non vedano questo nuovo stanziamento come una sottrazione di risorse ad altre voci dei propri bilanci. La presenza di alcuni emendamenti (57.17, 57.18, 57.19, ma anche il 57.16 poi dichiarato inammissibile) a varia firma (rispettivamente M5S, SI & CP, SI, FI) che attingono ai fondi svincolati del Mef e della Legge di bilancio, potrebbe far convergere le forze politiche in tal senso.

Le altre finalità 
Proseguendo nelle proposte di emendamento, alcuni partiti hanno fatto una serie ulteriore di proposte con finalità diverse dall’aumento. Una di queste riguarda l’estensione dell’esonero dei contributi d’iscrizione all’università per tutti i dottorandi borsisti. Dal punto di vista “sindacale” ogni ulteriore norma che favorisca i dottorandi può, almeno astrattamente, essere ben accetta. Tuttavia questo provvedimento solleva anche alcune perplessità. In primo luogo, la frazione di università che finora ha introdotto effettivamente le tasse per i dottorandi borsisti è esigua e pertanto questa norma non sembra avere il sufficiente grado di universalità che ci si dovrebbe attendere da una legge dello Stato, e anzi andrebbe paradossalmente proprio a finanziare gli atenei che hanno introdotto le tasse e che quindi sarebbero favoriti rispetto agli atenei più “virtuosi”, che non hanno invece richiesto maggiori oneri ai loro dottorandi. In quest’ottica, pertanto, un provvedimento del genere non è paragonabile all'abolizione dei contributi per i dottorandi senza borsa dello scorso anno, che si riferiva sostanzialmente alla generalità di tale categoria. Sarebbe allora forse più ragionevole adoperarsi affinché eventuali situazioni di disagio all'interno di alcuni atenei venissero trattate localmente. Non è neanche chiaro come questo provvedimento potrebbe poi avere concreti effetti economici, visto che presuppone il trasferimento delle risorse direttamente ai soli atenei dove i contributi universitari sono effettivamente presenti. Vi è poi almeno un’altra perplessità. L’attuale sistema di contribuzione studentesca, riformato lo scorso anno e all’interno del quale ricadono anche i dottorandi borsisti di alcuni atenei, è un sistema fortemente progressivo che va sostanzialmente a colpire chi, oltre alla borsa di dottorato, percepisce dei redditi o risulta ancora a carico della famiglia d’origine. Se è vero che alcune università non richiedono alcuna forma di contribuzione ai dottorandi, salvaguardando in questo modo l’intero ammontare della borsa, questo emendamento abolisce tout court l’unica forma di progressività attualmente presente nei contributi d'iscrizione ed appare, per questo, concettualmente poco auspicabile. In conclusione, avrebbe senso discutere di questo tema – anche a breve – all'interno di uno specifico dm di riforma del dottorato che intavoli un discorso sistemico rispetto all’importo della borsa e agli eventuali contributi d'iscrizione, ma non attraverso una singola norma. A tutte queste ragioni di opportunità si aggiunge il fatto che l'importo destinato a questi emendamenti è difficilmente stimabile, proprio per la mancanza di universalità e per la complementare discrezionalità a livello di ateneo dell'applicazione dei contributi d'iscrizione. Ciò si riflette in una grande variabilità delle coperture previste: 80 milioni (57.10, a firma M5S), 2 milioni nel 2018 e 10 nel 2019 (57.21, a firma SI & CP), 8 milioni (57.35, sempre a firma M5S). 

I dottorandi «senza borsa»
Un'altra tipologia di emendamento prevede di introdurre, per la prima volta, una vera e propria forma di sostegno per i dottorandi cosiddetti “senza borsa” durante i periodi di studio eventualmente trascorsi all’estero, nella misura di una mensilità di borsa ordinaria per ogni mese trascorso all'estero (attualmente dunque 1.000 euro al mese, si spera di più dopo l'approvazione definitiva della legge di bilancio). A normativa vigente il periodo di soggiorno all’estero può variare da 0 a 36 mesi, a discrezione del dottorando e date le concrete possibilità di soggiorno. Questo significa che i dottorandi senza borsa, qualora trascorressero tutto il proprio dottorato all'estero, potrebbero beneficiare di un sostegno normale (o quasi, poiché il dottorando borsista beneficia anche di una maggiorazione del 50% per i periodi all'estero). Il dottorato senza borsa, una peculiarità sostanzialmente italiana, richiederebbe un discorso complesso. Premesso che il lavoro intellettuale dovrebbe – per principio – essere sempre retribuito adeguatamente, la borsa di dottorato ha lo scopo di attuare le disposizioni dell’articolo 34 della Costituzione secondo cui «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i più alti gradi degli studi». Tuttavia, la Costituzione prosegue specificando che «la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio […] che devono essere attribuite per concorso». I dottorandi senza borsa sono coloro i quali non hanno raggiunto la posizione utile in graduatoria per poter accedere alle borse ministeriali ma per i quali, per le ragioni più svariate, il singolo ateneo ritiene di voler comunque concedere un posto di dottorato. Si potrebbe forse sostenere che allora le borse ministeriali non sono in misura sufficiente e vi è sicuramente anche un tema sulla formazione delle graduatorie. Tuttavia le proposte attuali, più che risolvere questo stato di cose, potrebbero introdurre un'ulteriore distorsione nel sistema dagli esiti largamente imprevedibili. Per il dottorando, questa norma potrebbe tradursi in un incentivo a intraprendere il dottorato senza borsa anche in assenza delle adeguate coperture economiche per tutti i tre anni nonché in un prolungato soggiorno all'estero, anche al di là delle reali esigenze di ricerca. Accade poi che i dottorandi senza borsa – specialmente nelle materie scientifiche – ricevano un assegno di ricerca, in misura talvolta anche superiore alle borse ministeriali. Tali dottorandi, con questa norma riceverebbero dei benefici ingiustificati rispetto ai dottorandi con borse ministeriali. Per gli atenei invece, a meno di trasferimenti specifici ai soli atenei che attivano posizioni senza borsa (e che, come nel caso dell'abolizione dei contributi d'iscrizione, avrebbero l'effetto negativo di premiare proprio gli atenei che più fan ricorso a questa forma di dottorato), questo sarebbe esclusivamente un onere, che dunque potrebbe piuttosto indurre ad eliminare tutte le posizioni senza borsa attualmente erogate. Ad ogni modo, l'emendamento 57.28 ha una copertura ragionevolmente insufficiente (500.000 euro) mentre l’emendamento 57.20 (SI & CP) benché accettato per la votazione non da alcuna indicazione precisa del costo della manovra che è, invero, di quantificazione molto complessa. In conclusione, sebbene il dottorato senza borsa presenti delle criticità importanti, sarebbe probabilmente meglio che fosse oggetto di una riforma ragionata piuttosto che di interventi meno organici. Al Parlamento sovrano il verdetto finale.

*Rappresentante dottorandi Università Statale di Milano


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