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"Affliggete quel manifesto” gli strafalcioni in italiano degli studenti universitari

Un test fra gli iscritti al primo anno di Linguistica: il 95% non sa cosa vuol dire “ondivago”, il 75% ignora “nugolo” ed “esimere”. E tra i liceali c’è chi è convinto che “collimare” sia una strada che porta in spiaggia

09/04/2017
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La perla delle perle in un mare di perle è “collimare”. Massimo Arcangeli, già preside della facoltà di Lingue e letterature straniere dell’Università di Cagliari, oggi componente del collegio di dottorato in Storia linguistica italiana dell’Università La Sapienza di Roma, si è fermato. E, pur abituato a raccogliere verbi sconnessi, ha sorriso. Anche lui. Collimare, per un liceo linguistico di Siena, è «la strada tra collina e mare». Alla richiesta di dare un significato della parola offerta, altri liceali hanno regalato queste variazioni sul tema: “collimare” è la domanda «che collina è quella?» oppure «sono le colline in mare» (qui siamo a Siracusa, la ricerca ha riguardato nove regioni). Sempre in Sicilia: «Da tre anni sto in un collimare», «la mia villa si trova in un collimare».

Questi passaggi si trovano nelle risposte raccolte nelle ultime due settimane tra mille studenti di scuole medie e superiori (più dell’ottanta per cento delle quali licei) per il Festival dell’italiano e delle lingue d’Italia, che si è aperto venerdì a Siena e si chiude oggi. Uno studio meno recente (2011-2012), ma ancora più preoccupante perché compiuto tra i 196 universitari sardi dell’allora preside Arcangeli (141 femmine e 55 maschi), ci dice che il 95 per cento delle matricole non conosce il significato di “ondivago”, l’88 per cento di “coacervo”, l’81 per cento non sa che cosa voglia dire “abulico”, tre su quattro non si orientano su “nugolo”. E poi si arriva a “collimare”, exemplum dello stato della lingua italiana tra i nostri studenti. Al primo anno di università è diventato quattro volte “compensare” («dobbiamo collimare le nostre lacune»), quattro volte “riempire” («collimare un vuoto»), tre volte “colmare”. In sei casi “adepto” è diventato “addetto” («lui è l’adepto alla manutenzione»), una volta “adeguo” («mi adepto a ogni situazione »), in quattro risposte “alunno”. “Esimere” tra gli universitari di Cagliari può essere “dare” («vorrei esimere le mie dimissioni »), “fedifrago” diventa “cannibale”. “Indigente” tutto fuorché povero: affidabile, disabile, esigente, esuberante, inadempiente, indisposto, insistente, irresponsabile. Ecco, «l’afflizione dei nuovi manifesti».

Nell’introduzione al Festival, il professor Arcangeli ha ricordato come nel 1863 su 21.777.334 cittadini italiani censiti, solo 3.884.245 fossero quelli che sapevano leggere e scrivere, un analfabetismo che sfiorava il 95 per cento in Basilicata. Allora un pastore lucano finiva fucilato «perché non riusciva a spiegare in italiano che le scarpe che aveva ai piedi non erano state rubate». Fra i pastorelli meridionali di Fine Ottocento e i nativi digitali di oggi la distanza è incolmabile, «eppure l’analfabetismo è tornato a incombere in nuove, insidiose forme funzionali». È l’incapacità di saper leggere e affrontare un testo in modo critico ed efficace, saperlo adattare alle diverse situazioni. Nei lavori di troppi ragazzi oggi si vedono sviluppi elementari delle trame, accenti fuori posto («loro mi rispettano come io lì rispetto a loro»); concrezioni («non lo mai apprezzato»), “che” polivalenti («ci sono compagni che ho un bellissimo rapporto »), errori di sintassi («io spero che non ci saranno più questi gruppi e che diventasse una classe come tutte le altre»).

Dice Arcangeli: «Oggi il numero di chi scrive in modalità digitale è incomparabilmente elevato, ma si registra l’insufficienza di una qualità che proceda di pari passo con la quantità, di una lingua, una logica e una cultura che s’impegnino per andare oltre la superficie e si ancorino a una qualunque terra». L’analfabetismo funzionale ha raggiunto livelli preoccupanti e sta riaffiorando quello strumentale: la totale incapacità di leggere, scrivere e far di calcolo. «Molti dei nostri giovani non riescono a sottrarsi alle insidie dei loop, delle riprese ingenue del già detto, non sanno procedere ordinatamente e non riescono a riprendere il filo del discorso dal punto in cui lo hanno interrotto. Il futuro? La prepotenza visiva dei nostri tempi potrebbe vaporizzare le qualità necessarie per affrontare una pagina scritta. Potremmo essere traghettati nell’instabilità permanente delle lingue, un ritorno a condizioni premoderne, l’analfabetismo dell’Europa medievale».


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