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«A scuola col cellulare silenziato ma non spento». Così fanno gli studenti

Seconda puntata di un’indagine sul mondo dell’istruzione visto dagli studenti, in collaborazione con il Laboratorio Adolescenza di Milano

02/11/2019
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Corriere della sera

MAurizio Tucci

Il dibattito sui telefonini a scuola è annoso e confuso. Da un lato c’è la circolare dell’ex ministro Fioroni, datata 2007, che ne vieta l’uso a scuola , dall’altro c’è il «decalogo per un uso responsabile del telefonino a scopo didattico» varato un paio di anni fa dall’ex ministra Fedeli; infine ci sono i regolamenti di ciascun istituto che stabiliscono norme e sanzioni, compresa quella del sequestro temporaneo, da parte dell’insegnante, in caso di uso scorretto. Ma cosa ne pensano gli studenti della questione? Canale Scuola di Corriere.it e Laboratorio Adolescenza lo hanno chiesto a un campione di 780 alunni delle scuole superiori di Milano nell’ambito di una inchiesta sul mondo dell’istruzione visto dai ragazzi. Questa è la seconda puntata. La prima aveva per argomento il rapporto con gli insegnanti. L’autore, Maurizio Tucci, è presidente del Laboratorio Adolescenza.

Naturalmente non ci ha meravigliato trovare una maggioranza bulgara di studenti pro telefonino, con il 98,8% di contrari al divieto di portarlo a scuola; ma qualche sfumatura sull’utilizzo è risultata esserci anche tra di loro. Ad esempio, viene fatta una sottile ma significativa differenza sulle modalità del non-uso. Spento o silenziato durante le lezioni? Se il 20% considera che sarebbe più giusto spegnerlo, il 78,2% ritiene che vada soltanto silenziato. Un furbo distinguo, visto che la loro versione di «silenziato» significa senza la suoneria ma libero di vibrare ad ogni messaggio Whatsapp e a ogni like sul proprio profilo Instagram. «Ok tenerlo spento durante le lezioni – dice Carlo (nome inventato, ndr) -, ma non farcelo utilizzare durante le pause o la ricreazione è un sopruso». Peccato che l’utilizzo improprio dei telefonini – si vedano i casi anche gravi di bullismo e cyberbullismo a mezzo di foto e video – si pratichi prevalentemente durante gli intervalli. A rendere ancora più spinosa la situazione – riferiscono presidi e docenti – è che spesso sono proprio le famiglie a volere che i figli portino il cellulare in classe. «Io ho il diritto di comunicare con mio figlio anche quando è a scuola», mi dice una mamma che vuole rimanere anonima.

Quell’orsacchiotto di peluche digitale

Il problema è che dietro questa incredibile simbiosi adolescente-telefonino ci sono anche dei risvolti di tipo psicologico: «Il telefonino sta all’adolescente come l’orsacchiotto di peluche sta al bambino che se lo trascina costantemente all’asilo – afferma Alessandra Marazzani, psicologa di Laboratorio Adolescenza –. E’, come diciamo in gergo, un oggetto transizionale (termine introdotto dal pediatra e psicoanalista inglese Donald Winnicott, ndr) , ovvero un oggetto fisico, che fornisce conforto psicologico in potenziali situazioni di stress come quelle che talvolta può riservare la scuola. Il dramma è che mentre l’orsacchiotto prima o poi il bambino lo abbandona, il telefonino - a giudicare dai comportamenti di noi adulti - appare destinato ad accompagnare gli adolescenti come oggetto di una transizione senza fine».

Studiare con il telefonino si può

Vero è che lo smartphone è anche uno strumento con delle potenzialità per quanto riguarda lo studio. La maggioranza degli studenti intervistati – soprattutto le ragazze - dichiara di utilizzare il telefonino per scopi didattici «spesso» (29,4%) o almeno «qualche volta» (47,1%). E a farlo maggiormente sono gli studenti che dedicano più ore allo studio: segno che l’utilizzo dello smartphone non è solo una scorciatoia per fare delle ricerche su Wikipedia con il «taglia e incolla», ma una reale fonte di approfondimento. Inoltre – e anche questo è un dato positivo – per il 64,8% l’invito all’utilizzo del telefonino per scopi didattici arriva proprio dagli insegnanti. Solo il 12% lo fa «off label», ovvero sapendo che i prof sono contrari. Segno che ormai anche i docenti ritengono insensato immaginare un processo formativo completamente impermeabile alle nuove opportunità che la tecnologia mette a disposizione.


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