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A Roma non tutte le scuole riaprono il 14. Nel Lazio 8 mila studenti senza classe

Nelle voci di alunni, docenti e personale scolastico tanti dubbi ma anche voglia di ricominciare. «Per molti sarà una ripartenza a singhiozzo, con orari ridotti. Manca il personale», dice Mario Rusconi, presidente dell’associazione nazionale presidi del Lazio

12/09/2020
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il manifesto

Giansandro Merli

«Non sappiamo ancora come, ma tra 48 ore apriamo le porte e suoniamo la prima campanella dell’anno». Le scuole di Roma e del Lazio, in una disperata corsa contro il tempo, si preparano a ricominciare lunedì. Ma non tutte ci riusciranno. Alcune hanno già chiesto un rinvio al 24 o 27 settembre. Quante siano di preciso non è ancora chiaro, ma dovrebbero comunque rappresentare una piccola parte. «La stragrande maggioranza delle scuole romane aprono alla didattica lunedì – afferma Mario Rusconi, presidente dell’associazione nazionale presidi del Lazio – ma sarà una ripartenza a singhiozzo, con orari ridotti. Mancano insegnanti e personale Ata. Non è una novità, succede ogni anno: il Covid-19 sta facendo venire al pettine nodi che durano da decenni. La scuola è stata trascurata da tutti i governi».

Entrando e uscendo dai portoni degli istituti di diverso ordine e grado sparsi nei quartieri della capitale si percepisce una diffusa frenesia che accomuna grandi e piccoli. Sono tanti i punti interrogativi sulla riapertura. «Costruire una scuola in sicurezza partendo da una situazione strutturalmente carente è un’impresa sovrumana», dice Rosanna Labalestra. È dirigente dell’istituto comprensivo dedicato a Simonetta Salacone, ex-preside scomparsa nel 2017 e fino all’ultimo in prima linea per difendere un’istruzione per tutti.

Sotto il suo nome studiano 1.200 alunni, dai 3 ai 13 anni, divisi in cinque plessi tra Torpignattara e Casilino 23, zona est della città. «C’è stato un grande sforzo corale, di municipio, genitori, insegnanti, collaboratori scolastici, associazioni – continua Labalestra – Lunedì le nostre scuole riapriranno e i bambini saranno in classe. Ma dovremo inventare forme di fare didattica completamente nuove. Questa sarà un’altra grande sfida».

Sulle scalette del vicino liceo classico e linguistico Immanuel Kant alcuni studenti si scambiano consigli e perplessità. «Mi mancava la socialità, con la didattica a distanza mi sono lasciato andare. Infatti sono qui per i corsi di recupero: per la prima volta non ho avuto la sufficienza in tutte le materie», racconta Simone Terribili, 18 anni. In questa scuola ci sono 1.330 ragazze e ragazzi. «Un bel paese», dice Rodolfo Mochi. È collaboratore scolastico e lamenta la poca chiarezza delle informazioni ricevute dal ministero. Grazie al lavoro di facchinaggio del personale scolastico, comunque, gli spazi sono quasi pronti.

Per ogni classe il massimo è di 20 studenti, ma non saranno più di 15 perché alcuni, a rotazione, rimarranno a casa o studieranno in laboratori inter-classe all’interno della scuola. Come in ogni istituto, si supera la porta solo dopo la misurazione della febbre, si disinfettano le mani vicino ai dispenser, si entra a orari scaglionati, si percorrono corridoi di ingresso e uscita differenziati. «Per funzionare bene servono altri bidelli», dice Mochi. L’esigenza è confermata dalla Flc Cgil, che denuncia anche la «drammatica ma prevedibile» mancanza di insegnanti e personale Ata».

Qualche chilometro più in là, nel quartiere del Pigneto, sulle scale della scuola primaria Giulio Cesare c’è un andirivieni di insegnanti. «I banchi monoposto non sono arrivati, adotteremo la soluzione alla cubana: un bambino dal lato corto e uno da quello lungo», spiega una di loro che preferisce non dire il nome. Qui gli alunni sono circa 400, altri 400 frequentano la media Piranesi dello stesso istituto comprensivo. «Sono molto preoccupata, manca pochissimo e ci sono ancora troppi punti interrogativi. Per esempio non abbiamo idea di come funzionerà la mensa. E poi le mascherine: ne sono arrivate solo 300, ma tra i due plessi siamo 147 lavoratori».

Proprio in queste ore il tema dei dispositivi di protezione individuale sta surriscaldando gruppi whatsapp e email. «Gli studenti per i primi giorni, in attesa delle forniture del ministero Istruzione, dovranno entrare a scuola con mascherine chirurgiche», recita un file pdf spedito dall’istituto comprensivo Alessandro Manzoni, quartiere di San Giovanni, agli smartphone dei genitori.

Sulla questione è intervenuta in zona Cesarini anche la Regione Lazio, che distribuirà 5 milioni di dispositivi: ieri a Latina, Rieti e Viterbo; oggi a Roma e Frosinone. «Abbiamo dato il massimo per riaprire le scuole il 14, interpretando la richiesta di famiglie e ragazzi di tornare tra i banchi – afferma Claudio Di Berardino, assessore a scuola e formazione del Lazio – Gli studenti senza classe sono passati dai 120 mila di agosto a meno di 8 mila. Ma bisogna continuare a lavorare, anche dopo la riapertura, con l’obiettivo di garantire la didattica in presenza fino alle medie e limitare al massimo quella a distanza nelle superiori».

Per vedere se e come si incastreranno i tasselli del complicato tetris di problemi strutturali, nuove difficoltà legate all’epidemia e ritardi del governo mancano ormai poche ore. Nel frattempo per gli 81.877 studenti del Lazio, di cui 51.130 solo a Roma, è arrivato il momento di fare lo zaino. «Ho un po’ paura dei contagi ma sono contento di tornare a scuola e vedere tutti i miei compagni. Non sarà facile riprendere subito i legami, dopo tanto tempo», racconta Edoardo. Ha 11 anni e lunedì inizierà la seconda media.


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