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Manifesto: Obbligo scolastico addio, ecco l'apprendista per legge

Approvato l'avvio al lavoro per i ragazzi con meno di 15 anni

05/03/2010
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il manifesto

Cinzia Gubbini

E' legge. Appena sarà stipulato l'accordo quadro con le regioni, in Italia tornerà la possibilità di andare a lavorare a 15 anni. Nella pioggia di novità contenute nel disegno di legge 1167 B (il cosiddetto «collegato al lavoro») approvato l'altro ieri al Senato, viene anche stabilito senza colpo ferire che l'obbligo scolastico terminata la terza media può essere assolto attraverso il contratto di apprendistato. Che, giuridicamente, è niente di più e niente di meno di un contratto di lavoro.
Anche in questo caso, nello spirito dell'intera partita del collegato, niente viene fatto alla luce del sole. Si confondono le acque. Si traveste il lupo da agnello. L'incipit del comma 6 dell'articolo 48 dice tutto: «stante l'obbligo di istruzione...» e continua facendo riferimento alla famosa norma introdotta dal centrosinistra nella prima finanziaria del governo Prodi: l'innalzamento a 16 anni dell'obbligo scolastico. Della serie: tranquilli, non cambia nulla. Invece cambia tutto. Perché l'apprendistato non può in nulla essere equiparato a un percorso di formazione. E' un contratto di lavoro, che prevede anche la formazione, ma che viene definito dai singoli contratti di categoria. Anzi, dopo la (famigerata) legge Treu, che quanto meno introduceva l'obbligo alla formazione esterna all'azienda - ambizione che, va detto, non è mai decollata, sia perché le regioni deputate a questo compito hanno pochi soldi, sia perché le aziende se ne disinteressano - la politica del lavoro ha operato ai fianchi di questo istituto. La legge Biagi riformando l'istituto dell'apprendistato ha tolto l'obbligo della formazione esterna. E anche un recente regolamento del governo vira verso il concetto di «azienda formatrice»: non c'è bisogno che l'apprendista affini le sue capacità anche attraverso un percorso di studio. Basta quello che si impara a bottega. E il riferimento alla «bottega» non è casuale. Quale lavoro, infatti, si può immaginare per un ragazzino o una ragazzina di 15 anni? Certo non entreranno nelle stanze dei bottoni delle aziende, certo non andranno a imparare il mestiere del professionista. Parrucchiere, estetiste, operai. A nulla più possono aspirare i ragazzi che non vanno troppo d'accordo con i libri. Una tragica conferma di quanto rilevato con preoccupazione giusto l'altro ieri dall'Ocse: in Italia il reddito è influenzato dal lavoro dei genitori. Dalla propria condizione di origine non ci si riesce ad emancipare. La scelta del governo, tra l'altro, evidenzia anche una visione molto «old style» del mercato del lavoro: oggi come oggi bisogna studiare anche per diventare una brava estetista e una brava parrucchiera, altro che «azienda formatrice»
Il centrodestra nel periodo delle polemiche dopo l'annuncio del provvedimento, ha sempre rispedito le accuse al mittente. Sostenendo che questo nuovo percorso servirà, semplicemente, a contrastare la dispersione scolastica. Il disegno di legge, infatti, contiene anche una delega con cui si promette di riformare l'apprendistato. Quando e come, però, non è dato sapere.
«E' una scelta classista, scellerata e autolesionista», denuncia la senatrice del Pd Mariangela Bastico, che in aula ha chiesto invano risposte alla maggioranza sul futuro dell'apprendistato e sul senso di questa norma, senza mai ottenere alcuna risposta. «Con questa norma il governo - continua la senatrice - si appropria di un anno di diritto all'istruzione sottraendolo ai ragazzi, abbassa a 15 anni l'età di ingresso al lavoro, riduce le opportunità di futuro e blocca la mobilità sociale». Tra l'altro Bastico ricorda uno studio della Banca d'Italia secondo cui investire sull'istruzione ha una resa del 7%, addirittura dell'8% al sud. Insomma, che spendere soldi sull'istruzione sia un investimento non è solo un modo di dire.
Ma ovviamente la posizione della maggioranza è che si sta parlando a tutti gli effetti di formazione, tanto che non viene abrogata la norma approvata nella finanziaria del centrosinistra che - oltre a innalzare l'obbligo scolastico - innalzava anche l'età minima per l'ingresso al lavoro a 16 anni. Di questa scarsa chiarezza si preoccupa il sindacato: «Abbiamo rilevato - osserva Maria Brigida della Cgil Flc - come negando che l'apprendistato è un contratto di lavoro si rischia di fare peggio: legalizzare lo sfruttamento dei minorenni». Ma c'è anche un altro aspetto da rilevare: «La determinazione del governo in questo campo è formidabile, e dimostra una consolidata visione del mondo. Conoscono benissimo l'importanza della conoscenza e della formazione. Solo che deve essere appannaggio del famoso 20% della società: non è un diritto di tutti».


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