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ScuolaOggi: IMPARARE SEMPRE, UN PASSAPORTO PER LA DEMOCRAZIA

di Fabrizio Dacrema

13/06/2009
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ScuolaOggi

Ogni persona ha diritto all’apprendimento permanente.
Inizia con questa affermazione la proposta di legge di iniziativa popolare che la Cgil promuove e per la quale si impegna, insieme a numerose altre associazioni, a raccogliere le firme per farla arrivare in Parlamento.
Siamo mossi dalla convinzione che imparare per tutto il corso della vita sia ormai per ogni persona la chiave di accesso all’inclusione sociale e all’esercizio della cittadinanza attiva, oltre che una risorsa essenziale per lo sviluppo economico e democratico di un paese.
Il percorso della Cgil
La Cgil è pervenuta a questa consapevolezza attraverso diversi percorsi politici e sindacali sui temi della qualità dello sviluppo e della riforma del welfare e della scuola.
Fin dalla conquista della 150 ore la formazione dei lavoratori non è mai stata considerata dalla Cgil mero addestramento finalizzato all’adattamento dei lavoratori alle nuove tecnologie e alle innovazioni organizzative. Alla base di quella rivendicazione vi era infatti un bisogno di sapere - di “conoscenza non frantumata” come la definiva Bruno Trentin - capace di accrescere l’autonomia dei lavoratori nei processi di produzione. Nella strategia di quegli anni il circolo virtuoso sapere-lavoro-sapere giocava un ruolo centrale per l’emancipazione del lavoro dalla condizione di sfruttati a quella di produttori, per usare la nota definizione di Trentin.
Già nell’esperienza delle 150 ore appare evidente la necessità di cambiare il sistema di istruzione italiano e di aprirlo alla formazione continua e permanente dei lavoratori e dei cittadini adulti. Una prospettiva che sarà sempre presente nell’iniziativa del sindacato confederale per riformare la scuola pubblica, renderla più inclusiva e aperta ai bisogni sociali e dei territori. L’obiettivo di una formazione iniziale che assicuri a tutti i cittadini la formazione di base sufficiente per apprendere per tutta la vita alla base delle rivendicazioni di questi anni per l’innalzamento dell’obbligo di istruzione e lo sviluppo dell’autonomia scolastica e delle lotte contro le politiche dei governi della destra costantemente orientate a indebolire la scuola pubblica, rinunciando così a perseguire per tutti il diritto di imparare a imparare.
Sul versante della negoziazione sociale delle politiche di welfare sono state le iniziative, in particolare del sindacato dei pensionati, per l’invecchiamento attivo e la qualità della vita a rendere evidente la necessità di imparare ad ogni età per sviluppare le competenze vitali decisive per il benessere, l’inclusione sociale e la partecipazione.
Questi diversi ma convergenti percorsi sono all’origine dell’impegno della Cgil per l’apprendimento permanente, vero e proprio moderno vocabolario di Di Vittorio, perché dotato della stessa funzione emancipatrice, quella di dare parola e dignità ai lavoratori.
Oltre la crisi: conoscere per crescere
Le ragioni per costruire nel nostro paese un efficace sistema dell’apprendimento permanente sono rese ancora più attuali dalla crisi in corso.
Gli accordi che si stanno definendo sugli ammortizzatori sociali vedono il sindacato impegnato a favore di politiche attive che potenzino le competenze dei lavoratori e la loro occupabilità. Questi interventi richiedono capacità di realizzare analisi dei fabbisogni formativi coerenti con le possibili scenari di sviluppo settoriali e territoriali. Esigono, inoltre, servizi per i bilanci di competenze, l’orientamento e l’accompagnamento verso nuove possibilità occupazionali e per la certificazione competenze acquisite che rafforzi la spendibilità delle nuove competenze acquisite.
Tutte queste funzioni essenziali di un moderno sistema dell’apprendimento permanente, come purtroppo sappiamo, nel nostro paese sono poco sviluppate, diffuse a macchia di leopardo e non sempre di qualità sufficiente.
Se poi volgiamo lo sguardo alle politiche necessarie per tornare a crescere oltre la crisi, allora l’apprendimento permanente entra a pieno titolo nella piattaforma delle riforme strutturali necessarie a modernizzare il paese. Le difficoltà della nostra economia, già evidenti prima della crisi, possono essere superate solo con politiche economiche decisamente indirizzate a sostenere la qualità e l’innovazione. Per competere nell’economia globale il nostro sistema produttivo deve riposizionarsi su specializzazioni produttive a tecnologia avanzata e più alto valore aggiunto, migliorare la produttività e l’organizzazione del lavoro. Ciò è possibile solo innalzando complessivamente la qualità del capitale umano, facendo crescere le conoscenze e le competenze di tutte le persone che lavorano. L’innovazione, il trasferimento tecnologico crescono, infatti, in quei contesti in cui le persone hanno le basi culturali, la preparazione, l’apertura mentale per accogliere le innovazioni e per portarle avanti. La formazione permanente è quindi necessaria per volgere al futuro il nostro sistema produttivo.
Contro il populismo: sapere per contare
I bassi livelli di istruzione della popolazione italiana e lo scarso accesso degli adulti alla formazione rappresentano un problema anche per lo sviluppo della nostra democrazia. L’Italia è oggi una delle democrazie occidentali in cui i rischi di degrado populistico sono più evidenti. Indubbiamente la comunicazione populistica, fatta di semplificazioni e di risposte fittizie e regressive a problemi reali, attecchisce maggiormente nel nostro paese anche perché scontiamo un considerevole gap formativo nei confronti degli altri paesi sviluppati. Scrive a questo proposito Tullio De Mauro nell’appello a sottoscrivere la nostra proposta di legge: “Nell’insieme il quadro delle modeste competenze adulte fa intravedere una difficoltà non meno grave per quanto riguarda la capacità di partecipare con piena consapevolezza e responsabilità alle scelte anche morali che il paese ha dinnanzi. L’emergenza della dealfabetizzazione nazionale prefigura il rischio di una emergenza democratica”.
I rischi di regressione populistica delle società avanzate affondano le radici nella crescente divaricazione che si verifica tra la crescita della complessità sociale informativa e conoscitiva da un lato e, dall’altro, la capacità dei soggetti di leggere, interpretare e orientarsi in tale complessità. Non è un caso se il populismo berlusconiano, fatto di rapporto fiduciario e diretto tra il leader e il suo popolo, abbia sempre fatto il pieno degli elettori con bassi livelli di istruzione. Anche nelle elezioni 2008 il 48,9% degli elettori in possesso della sola licenza elementare e il 38,1% della sola licenza media hanno votato per il Partito della Libertà (dati Itanes).
L’apprendimento permanente dei cittadini è invece una risorsa indispensabile per una democrazia partecipata fondata sull’esercizio della cittadinanza attiva. Più alti livelli di sapere dei cittadini rappresentano un passaporto per fronteggiare la complessità sociale, per orientarsi di fronte alle nuove questioni etiche e politiche poste dalla rivoluzione tecnologica. Scrive, sempre a questo proposito, Tullio De Mauro “ Si sente sollecitare a tratti uno scatto di moralità nella vita collettiva: ma una morale senza conoscenze non sa trovare punti su cui esercitarsi, rischia sordità e cecità”.
Apprendere sempre: più eguaglianza e più qualità della vita
La profondità della crisi mondiale e la necessità di fare i conti con il fallimento del pensiero unico neoliberista ha ridato fiato alla riflessione critica sulla crescita enorme delle disuguaglianze e sull’ effetto di freno allo sviluppo, anche economico, che esse hanno determinato.
Se non si tratta di riproporre vecchie ricette stataliste o egualitarismi ingenui all’apologia incondizionata del mercato, allora occorre individuare quale nuovo ruolo di regolazione deve assumere l’intervento pubblico per assicurare pari opportunità quali siano le condizioni di partenza e per favorire un modello di sviluppo più equilibrato e sostenibile.
Oggi sono le povertà immateriali, prima fra tutte quelle nei livelli di conoscenza, quelle che sempre più segnano la linea dell’inclusione e dell’esclusione sociale. Per questo l’intervento pubblico deve essere prioritariamente orientato a realizzare il massimo di eguaglianza delle opportunità nell’accesso all’apprendimento permanente, a partire dall’assicurare ad ogni giovane, attraverso la formazione iniziale, una base culturale sufficiente per poter esercitare per tutto il corso della vita una autonoma capacità di apprendere. Chi non sa o non può apprendere per tutto il corso della vita è ormai un soggetto a rischio di emarginazione, povertà, subalternità. Già oggi alcune indagini dimostrano come buoni livelli di istruzione e propensione a imparare siano connessi positivamente alle aspettative medie di vita e riducano i rischi di disoccupazione di lunga durata e altre più gravi forme di esclusione sociale.
La strategia dell’apprendimento permanente è allora determinante per realizzare un nuovo welfare volto più a promuovere opportunità che a risarcire, capace di sostenere le persone nel mercato del lavoro di fronte alle incertezze e ai rischi della vita lavorativa. È anche essenziale per nuove politiche di welfare orientate alla promozione e alla qualificazione non solo del lavoro, ma della persona in quanto tale: formazione linguistica e la crescita culturale degli immigrati, formazione interculturale di tutti i cittadini, invecchiamento attivo degli anziani, integrazione lavorativa e sociale dei disabili.
Il ritardo italiano
L’Italia è uno dei paesi europei più arretrati nella realizzazione della strategia europea di lifelong learning e ciò rappresenta uno dei principali limiti strutturali che frenano lo sviluppo della democrazia e dell’economia del nostro paese.
Il deficit formativo italiano è costituito da due aspetti:
• bassi livelli di istruzione: circa il 50% della popolazione tra 25 e 64 anni e il 40% della forza lavoro arriva con al massimo la licenza media (meno 20 punti rispetto alla media europea e meno 40 rispetto ai paesi più avanzati);
• difficoltà del sistema formativo a superare questo gap che ci divide dai paesi sviluppati: alta dispersione (il 20% della fascia 20-24 è senza diploma e senza qualifica e non è inserito in alcun percorso formativo, il doppio rispetto all’obiettivo di Lisbona da raggiungere entro il 2010 e contro una media europea del 14%), solo il 6,2% degli adulti partecipa ad attività formative (media europea del 10% e obiettivo di Lisbona 12,%), solo un terzo delle imprese sopra i 10 dipendenti realizza attività formative a fronte del 90% della Gran Bretagna, del 74% della Francia, del 69% della Germania, del 47% della Spagna e di una media del 60% nell’U.E. a 27.
A causa dei bassi livelli di scolarizzazione della popolazione adulta in Italia esiste una vera e propria emergenza alfabetica. Accreditate indagini internazionali attestano che larga parte della popolazione (quasi 4/5) è a rischio alfabetico. L’allarme non riguarda solo l’analfabetismo in senso stretto (circa 2 milioni di adulti tra i 46 e i 65 anni concentrati nel Mezzogiorno), ma anche adulti che sono andati a scuola e tuttavia hanno competenze alfabetiche molto deboli. Secondo l’indagine ALL (Adult Literacy and Life Skills – 2005) solo il 20% della popolazione adulta italiana raggiunge livelli di padronanza sicura per essere capace di rispondere efficacemente alle esigenza di vita e di lavoro del mondo attuale: comprendere/elaborare un testo scritto anche di modesta complessità, padroneggiare le regole essenziali del calcolo, riconoscere e utilizzare il linguaggio iconico.
Occorre una svolta nelle politiche per l’apprendimento permanente che ci permetta di recuperare in tempi certi il gap che ci separa dai paesi europei.
Le politiche sociali e scolastiche del governo
Le scelte del governo sono invece orientate a ridurre pesantemente le risorse confermando in materia di welfare e scuola un approccio di stampo neoliberista: il pubblico arretra e gli si riserva una funzione residuale e assistenziale, qualità ed eccellenza sono affidate a processi di privatizzazione. Mentre si torna indietro sulle liberalizzazioni, il modello dello stato minimo continua a guidare l’intervento del governo sullo stato sociale. L’obiettivo non è una gestione più efficiente dell’intervento pubblico, ma la rottura del patto sociale di solidarietà tra i cittadini che alla base della progressività fiscale e dell’universalità delle prestazioni.
La politica scolastica del Ministro Gelmini impoverisce e indebolisce la scuola pubblica, taglia risorse anche nell’istruzione degli adulti nonostante il nostro già pesante basso tasso di partecipazione degli adulti alla formazione. Al contrario la nostra proposta di legge delinea un sistema formativo finalizzato ad assicurare ad ogni persona la capacità e l’effettiva possibilità di apprendere per tutto il corso della vita, obiettivo perseguibile solo attraverso politiche di sviluppo e qualificazione della scuola pubblica.
Il libro bianco sul welfare riduce la formazione permanente a formazione aziendale con una visione tutta ideologica del ruolo dell’impresa vista come panacea di tutti i limiti dell’attuale formazione continua. Nella nostra proposta, invece, la formazione dei lavoratori è un importante aspetto della formazione permanente che si rivolge più ampiamente a tutti i bisogni delle persone. Valorizza le competenze acquisite attraverso il lavoro e riconosce la capacità formativa delle imprese in possesso dei requisiti che la rendono idonea a progettare e realizzare un’attività formativa qualificata.
I contenuti della proposta di legge
La proposta di legge che presentiamo afferma il diritto soggettivo di ogni persona all’apprendimento permanente come diritto chiave per accedere in modo pieno ed effettivo agli altri diritti di cittadinanza.
Per questo la proposta di legge pone l’obiettivo di raggiungere in tre anni di raddoppiare gli adulti che partecipano ad attività formative attraverso un piano straordinario che ci permetta di raggiungere il benchmark europeo fissato a Lisbona nel 2000 e che si dovrebbe raggiungere entro il 2010.
La proposta di legge, inoltre, prevede le misure per garantirne l’effettiva fruizione del diritto e promuove la costruzione di un sistema nazionale della formazione permanente.
Le misure a sostegno dell’apprendimento permanente sono finalizzate a rimuovere gli ostacoli che rendono difficile l’accesso alla formazione degli adulti ed escludono i più deboli (congedi e permessi, interventi di defiscalizzazione delle spese formative, informazione e orientamento, certificazione delle competenze comunque acquisite).
I congedi e permessi retribuiti per la formazione sono ampliati rispetto alla normativa vigente (legge 53/00): sono sufficienti tre anni di anzianità lavorative (al posto di cinque), di cui dodici mesi consecutivi nello stessa azienda o amministrazione (al posto di 5 anni) per poter chiedere un periodo di sospensione dal lavoro ai fini formativi (un anno nel corso dell’intera vita lavorativa) . Si prevede un monte ore annuo minimo di permessi retribuiti di 30 ore da garantire a tutti i lavoratori. A differenza della legge 53/00 il datore di lavoro è tenuto ad accogliere le richieste dei congedi e dei permessi, ferma restando la regolazione contrattuale delle modalità.
Introduce due misure obbligatorie a favore della domanda debole: il coordinamento tra servizi educativi e socio- sanitari per sensibilizzare i soggetti più emarginati e l’albo dell’offerta formativa territoriale per favorire l’accesso all’informazione sull’offerta formativa.
Garantisce la certificazione delle competenze comunque acquisite e il riconoscimento dei crediti formativi per il rientro nei percorsi di istruzione e per la loro spendibilità nel mondo del lavoro.
È prevista la definizione da parte dello Stato dei livelli essenziali delle prestazioni per l’accreditamento delle strutture che operano nei contesti non formali e per i servizi di supporto: informazione e orientamento, certificazione e validazione delle competenze, monitoraggio e valutazione.
Delinea un sistema nazionale dell’apprendimento permanente, integrato e decentrato, dotato di una regia pubblica che valorizzi il ruolo degli enti locali e delle parti sociali.
Le diverse tipologie di apprendimento (formale, non formale, informale) sono definite con chiarezza, evitando sovrapposizioni, valorizzandole nella loro specificità e riconoscendo ogni apprendimento comunque acquisito.
Particolare attenzione è posta agli interventi per favorire l’accesso alla formazione della domanda debole: tutte le indagini riferite a tutte le tipologie di formazione degli adulti confermano l’alto livello di esclusione dei cittadini con bassi titoli studio e dei lavoratori con basse qualifiche.
La campagna politica: un’occasione per fare
La campagna politica a sostegno della raccolta di firme sarà l’occasione, oltre che per creare consenso sulla nostra proposta, anche per promuovere piattaforme contrattuali e piattaforme territoriali per negoziazione sociale sui temi della formazione al fine di ottenere risultati nella direzione delle proposte avanzate nel disegno di legge di legge.
Quanto previsto dalla proposta di legge è infatti a sostegno della contrattazione e garantisce una base minima di diritti formativi dei lavoratori e dei cittadini a partire dalla quale la contrattazione nazionale e aziendale e la negoziazione sociale territoriale potranno aggiungere, integrare, migliorare.
La contrattazione di categoria potrà rafforzare congedi e permessi formativi per i lavoratori e garantirne le condizioni di effettiva fruibilità. La formazione dovrà, inoltre, rappresentare un fattore decisivo per la definizione di nuovi inquadramenti e carriere. Anche nella contrattazione di secondo livello la formazione dovrà essere valorizzata per favorire i processi di innovazione e nuovi modelli di organizzazione del lavoro.
Diversi obiettivi indicati nella proposta di legge per la costruzione di un sistema dell’apprendimento permanente potranno poi essere ottenuti attraverso azioni vertenziali territoriali. A questo fine è importante realizzare ampie alleanze politiche e sociali attorno all’obiettivo di contrastare le scelte del governo e di ottenere risultati per ampliare e migliorare l’offerta formativa, utilizzando i nuovi e rilevanti spazi di competenza di Regioni e d Enti Locali in materia di istruzione e formazione.
In materia di apprendimento permanente gli obiettivi che possono essere ottenuti nei territori attraverso la negoziazione sociale riguardano il coordinamento dell’offerta e la qualificazione dell’offerta, la sollecitazione e il sostegno della domanda, l’attivazione di servizi di supporto.
In particolare si tratta di diffondere e implementare nei territori l’accordo tra Governo, Regioni e Parti Sociali del marzo 2006 al fine di realizzare un utilizzo integrato di tutte le risorse per la formazione permanente e una programmazione unitaria e coerente.
Per favorire l’incontro tra domanda e offerta formativa occorre garantire potenziare l’informazione, a partire dalla realizzazione di Albi provinciali o territoriali dell’offerta formativa. Inoltre è possibile potenziare e coordinare i servizi di orientamento. In particolare, per favorire l’emersione della domanda formativa debole o inespressa, è importante ottenere azioni di coordinamento e integrazione tra servizi educativi, sociali e sanitari, già previsti dalla legge 238/00.
Si tratta solo di alcuni esempi per dare l’idea di come alcuni risultati possono essere raggiunti già mentre rivendichiamo l’approvazione di una legge che riteniamo indispensabile per rendere il nostro paese più moderno e civile.


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