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Repubblica: L'Università in guerra con Omero e Dante

Piero Citati

21/05/2008
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la Repubblica

Come ogni anno, la produttività italiana è diminuita di qualche punto. Pochi anni fa, era lievemente inferiore a quella inglese: poi a quella francese e tedesca: poi a quella spagnola: poi a quella greca: poi a quella boema: poi a quella polacca: poi a quella bulgara: poi a quella moldava; e quest' anno si discute seriamente se sarà superiore o inferiore a quella del Ghana. Pare che abbiamo buone speranze. Tutti sanno qual è la ragione: la scuola e in primo luogo l' Università. È il vero problema italiano: infinitamente più grave dell' inflazione, del tenore di vita, del bilancio dello stato, dell' Alitalia, dell' immigrazione clandestina, dell' immondezza che ha trasformato Napoli in una elegantissima pattumiera sotto il cielo. Nel dopoguerra, tutti i ministri della Pubblica Istruzione sono stati mediocri. Ma, un tempo, i bigi e saggi ministri democristiani non osavano nemmeno sfiorare il vecchio edificio scolastico: sapevano che era pieno di crepe; e che un solo colpo di piccone avrebbe rischiato di distruggere l' Università, il liceo, le medie, le elementari. Poi, non so come, presero coraggio: la parola riforma li incantava: risvegliava in loro una specie di euforia e di ebbrezza, come se scrivere centinaia di leggi incomprensibili facesse conoscere loro la vera vita, - quella vita ardente che non avevano mai conosciuto. Così cominciarono le allegre catastrofi: quella della scuola elementare, a causa della moltiplicazione della maestra di base. Quella dell' esame di riparazione; e soprattutto (niente li affascinava tanto) l' invenzione delle cattedre universitarie grottesche, come Sociologia del gatto siamese o Il computer applicato alla letteratura. Ma il vero, immane disastro, paragonabile a un terremoto del decimo grado della scala Mercalli, doveva ancora giungere. Otto anni fa, l' onorevole Luigi Berlinguer, circondato da una schiera di pedagogisti e seguito da Letizia Moratti, diede solennemente il primo colpo di piccone. Sono passati appena otto anni. E del vecchio edificio scolastico non resta più niente: tutte le tegole al suolo, muri maestri e pilastri divelti dal bulldozer, mattoni in briciole, fango, poltiglia e, sopra la immensa rovina, una fittissima nube di tenebra. Oggi, gli studenti universitari non leggono più: seguono piccoli corsi di poche settimane, che si susseguono vorticosamente; e, alla fine, dopo aver saltabeccato da un piccolo corso ad un altro piccolo corso, giacciono a terra sfiniti, senza avere appreso assolutamente nulla. Come libri di testo, non adottano tutta la Divina Commedia, tutta l' Odissea, e Ernst Robert Curtius e Santo Mazzarino, come si faceva nel vecchio edificio scolastico: ma miserabili librettucci, che raccontano in cento pagine la Storia delle Crociate o i Moralisti classici. Testi, niente, perché leggere Dante o l' Odissea può riuscire pericoloso per le anime dei ragazzi innocenti. I pochi studenti dotati sono (giustamente) puniti: dopo aver studiato per otto anni, debbono affrontarne due di inutilissima pedagogia, prima di poter insegnare nelle medie o nei licei. Poi il ciclo si ripete all' infinito: pessimi professori universitari generano professori di liceo ancora peggiori, e questi allevano studenti per i quali scrivere una pagina in italiano è molto più arduo che ascendere l' Himalaya. Berlinguer e i suoi amici immaginavano che la società moderna, o società di massa, o società globale, fosse il regno dell' immensa faciloneria, governata da un sovrano idiota. Leggere è inutile: studiare inutile: conoscere i classici antichi e moderni inutilissimo; basta ignorare l' italiano e blaterare sciocchezze. In realtà, la società moderna esige studi difficilissimi, molto più difficili di quelli di cinquanta anni fa: richiede un' assoluta precisione mentale, una cultura che abbraccia molte specializzazioni, il dono del pensiero analogico, e quello di scoprire il tutto nel minimo. L' università di Berlinguer e della Moratti prepara ingegneri incapaci di costruire ponti e case, storici medioevali che ignorano il latino, fisici che confondono Einstein ed Euclide. In un disastro così totale, qualcosa di utile è naturalmente venuto alla luce. Come testimonia un' ottima inchiesta di Vladimiro Polchi pubblicata giorni fa su Repubblica, gli studenti fuori corso sono diminuiti: cosa ovvia, se lo studio è stato ridotto a pochissimo. I laureati della laurea breve che appartengono alla facoltà di medicina (i sanitari, non i medici) trovano facilmente lavoro. Ma la colpa gravissima della Riforma Berlinguer è stata quella di trasformare l' Università in un cattivo liceo di provincia. L' Università non può accontentarsi di produrre infermieri e odontoiatri: persone utilissime; ma deve educare specialisti, studiosi di cose ardue e difficili, come quelli che l' Italia costringe ogni anno ad emigrare in tutte le facoltà dell' universo. Così la Riforma Berlinguer va radicalmente riformata. Dobbiamo ripristinare i grandi corsi, lunghi sei o sette mesi, sugli argomenti fondamentali della conoscenza. Gli studenti devono tornare a leggere. Se qualcuno studia letteratura greca, o storia del pensiero economico, o storia della filosofia, tremila (non duecento) pagine di testi sono appena sufficienti. Qualche tempo fa, ho letto che, in Gran Bretagna, il ministro dell' Istruzione progettava o progetta di abolire, nelle scuole medie e nei licei, lo studio delle lingue straniere, che ormai sono perfettamente inutili (malgrado Dante, Racine, Cervantes e Goethe), visto che ormai tutti gli abitanti della Terra parlano inglese. La settimana scorsa, ho appreso da Repubblica che il vento ardimentoso della demenza europea ha preso a soffiare anche in Germania, dove il governo ha deciso che le scuole costano troppo: quindi niente più bocciature, niente più voti, e se i voti sono bassi verranno rialzati dal preside. Consoliamoci. Ogni paese ha il Berlinguer che si merita.


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