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Messaggero: Brunetta: meno statali ma pagati meglio, scuola e giustizia affidate anche ai privati

«Pubblica amministrazione, si cambia tutto»

10/05/2008
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Il Messaggero

ROMA Nominare Renato Brunetta ministro della Pubblica amministrazione è come mettere una bisteccheria nelle mani di un vegetariano. Economista, grande esperto di politiche del lavoro, liberista convinto, da sempre Brunetta invoca un alleggerimento delle strutture statali e una riduzione delle spese per il personale. Ma nella sua prima intervista da ministro, Brunetta ci tiene a presentare il suo impegno futuro in positivo. «Non si deve demonizzare nessuno, tanto meno chi lavora nel settore pubblico. Anzi sono convinto che il capitale umano nella pubblica amministrazione sia mediamente superiore a quello privato. La stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici sono più capaci dei loro colleghi delle imprese».
Allora è tutto a posto, non avrà molto da fare nei prossimi cinque anni.
«Ovviamente non è così. Il problema è che sul lavoro di queste persone non viene applicato un sistema di incentivi e di disincentivi. Non ci sono premi per chi è efficiente né punizioni per chi è inefficiente. Se un’azienda privata facesse così collasserebbe, fallirebbe in una settimana. Il fatto che le amministrazioni pubbliche riescano a evitare di andare a fondo ha del miracoloso. Ma il miracolo del galleggiamento non basta».
Dunque, cosa pensa di fare?
«Partire dai premi, dagli incentivi, dagli stimoli. Superare la sindrome del bambino viziato...»
In che senso?
«La pubblica amministrazione è come quei bambini pieni di giocattoli, a cui i genitori dicono sempre sì. E che alla fine sono pure infelici, perché non hanno un ruolo. Noi invece dobbiamo far diventare protagonista la pubblica amministrazione e quelli che ci lavorano».
I premi di produttività nel pubblico impiego esistono da almeno dieci anni.
«Ma in genere vengono sprecati».
Come si fa a non sprecarli?
«Bisogna ricominciare dal merito. Ristabilire che i buoni vengono premiati e i cattivi vengono puniti, cosa che fino a oggi i sindacati hanno impedito. Adesso però mi sembra che l’aria sia cambiata, anche nel sindacato».
In verità sono almeno dieci anni che tutti parlano di meritocrazia, compresi i sindacati. Come si passa dalle parole ai fatti?
«Ci vuole un’innovazione culturale, politica, tecnologica, un’innovazione nelle relazioni sindacali».
Per esempio: il memorandum firmato un anno fa dal governo Prodi e dai sindacati, è ancora valido?
«Quel protocollo è quanto di peggio poteva produrre la una politica di matrice ideologica e sindacale. Non si può muovere foglia che il sindacato non voglia. Con una cultura del genere, un’azienda fallisce in due settimane».
E l’Aran? Va abolita, come a volte è stato proposto nel centrodestra? E chi farebbe i contratti del pubblico impiego al suo posto?
«Se l’Aran diventa una succursale del governo e del sindacato, non ha ragione di esistere. L’Aran può assolvere la sua funzione solo se si comporta come un sostituto del mercato. O il governo e il sindacato decidono di lasciare piena autonomia all’agenzia, oppure non serve a niente».
Il Pdl ha promesso di togliere le tasse su straordinari e premi di produttività. Vale anche per il pubblico impiego?
«Stiamo definendo il quadro con il ministro Sacconi. L’intervento sarà sperimentale e in progressione. Quanto al settore pubblico, vedremo».
Il governo Prodi aveva avviato l’assunzione dei precari di lunga durata. Continuerete l’opera?
«Io sono contrario alle assunzioni ope legis. Per me si deve assumere sempre per concorso».
Quindi la stabilizzazione salterà? Cambierete la legge?
«Ci stiamo ragionando. Comunque una quota di lavoro flessibile nella pubblica amministrazione deve restare, una quota né troppo alta né troppo bassa. Ma non devono esserci più precari a vita».
Secondo lei si possono privatizzare pezzi di pubblica amministrazione?
«Ci sono beni e servizi che devono essere pubblici, nel senso che devono essere alla portata di tutti, ma che non devono essere necessariamente prodotti da dipendenti pubblici: la sanità, la scuola, i beni culturali, l’università. Chi l’ha detto che un professore universitario come me deve essere un dipendente pubblico inamovibile? O anche la giustizia».
I giudici privati?
«No, i giudici no, anche se alcune forme di privatizzazione in effetti esistono già, come nel caso dei lodi. Io mi riferisco alle cancellerie, agli uffici amministrativi: non possono essere affidati a dipendenti privati?».
Il numero dei dipendenti pubblici deve diminuire?
«Sì. E chi resta deve essere pagato meglio. Si deve fare un blocco del turn over intelligente, rimpiazzando solo una parte di coloro che vanno in pensione».
In campagna elettorale si è parlato molto di innovazione tecnologica, di burocrazia digitale. Che idea avete?
«Questo deve essere il grande catalizzatore del cambiamento. Bisogna eliminare le carte, che vuol dire anche eliminare i costi. Inoltre si potrebbe ripetere la strategia adottata alle Poste da Corrado Passera e Massimo Sarmi. In collaborazione con Poste italiane, si potrebbero usare i loro uffici come terminali del sistema pubblico: consentire ai cittadini di fare allo sportello postale le stesse cose che fanno all’anagrafe, agli sportelli dell’Inps o dell’Inail. Magari si potrebbero sfruttare anche altre reti, per esempio le tabaccherie».


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