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Unità: Gelmini-Della Loggia, duetto a Capalbio sulla scuola autoritaria che verrà

Voto di condotta, disciplina di ferro, grembiuli: la ministra e l’editorialista sognano un ritorno al passato. Tra lo sgomento e lo sconforto di una platea di insegnanti

01/08/2008
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l'Unità

Roberto Brunelli inviato a Capalbio (Gr)

È STATA la prima volta di un ministro di Re Silvio IV a Capalbio, e non poteva che essere un piccolo psico

dramma italiano. O forse una piccola commedia dei ruoli, che tanto è lo stesso: da una parte la neoministra all’istruzione Mariastella Gelmini, quella del ritorno del grembiulino sui banchi delle elementari e del voto di condotta, quella dell’occhiale severo e della parlata pericolosamente berlusconica che finiva per suonare straniante nel tempio dell’elite culturale di sinistra (o nel enclave della «gauche caviar», dipende dai punti di vista), dall’altra una platea di insegnanti e professori di fiera fede democratica. A sovrintendere il tutto, la zazzera del professor Ernesto Galli Della Loggia, editorialista del Corriere della Sera, eccitato nel suo ruolo di ribaltatore di quelle che lui considera i luoghi comuni della sinistra. In mezzo, tal Adolfo Scotto di Luzio, autore di un libro sulla storia della scuola italiana «dal Risorgimento alla riforma Moratti», uno che ha il pallino dell’ideologizzazione della scuola. Come non bastasse, in prima fila due ufficiali dei Carabinieri impettiti («con i pennacchi», direbbe De André).

Lei, la ministra, bisogna ammetterlo, a suo modo è stata coraggiosa: alla precaria, alla preside, al professore di filosofia, agli insegnanti, risponde molto diligentemente beccandosi tutte critiche («prima di parlare vada a informarsi!», grida una docente dalla quarta fila), ma non si perde mai d’animo, continuando a «tratteggiare», come ama dire, la governance della scuola che sarà. E, a sentir lei e la zazzera di Galli Della Loggia animata di vita propria, sarà tregenda. Anzi, sarà il ritorno ad una scuola pre-repubblicana, addirittura (e questo dal barbuto editorialista del Corsera è stato spiegato varie volte) pre-costituzionale. Una scenetta degna del più caustico Cechov… (immaginate il crescendo). Lei: «La scuola non deve più essere una succursale del welfare». Lui (il Galli): «Basta con questa storia della scuola che deve formare il cittadino democratico, la scuola deve tornare a formare». Lei: «Voglio tornare al voto di condotta. Dobbiamo valutare i corretti stili di vita. Ci vogliono criteri di valutazione, ci vogliono rigore, disciplina, deterrenti». Lui: «Dobbiamo mandare un esercito di ispettori nelle scuole del sud, che devono rendere conto dello stato in cui sono ridotte». Ancora lui (era molto ispirato ieri sera): «Siamo all’eclissi dell’insegnante!». Lei: «Ci sono troppe materie». Ancora lei: «Vi sembra possibile che il 97% del bilancio 2007 vada in stipendi?».

Tra i primi banchi della medievale piazza Magenta (notorio crocevia di intellettuali di ogni risma e raffinatezza, volti aggrottati, qualcuno esterrefatto si metteva le mani nei capelli. Ma la ministra non demorde. Sa di cosa parla, con quel quel portamento da prima della classe, di quelle un po’ cattivelle che il compito non te lo passano nemmeno se sei pronto a vendere l’anima: «Dobbiamo ritrovare l’identità nazionale», dice ad un certo punto Mariastella, e ti pare di sprofondare in una scuola risorgimentale, mito del professor Adolfo Scotto di Luzio, dove gli insegnanti insegnano e puniscono, dove ogni contesto è bandito, dove non c’è socializzazione che tenga, dove il grembiule va fortissimo. Una scuola molto paternalista e molto autoritaria. Che anche il Galli della Loggia vagheggia con trasporto poetico: non è vero che il disastro della scuola dei nostri giorni, dice, sia addebitabile al ’68 (bontà sua), ma è colpa di quei signori che dovevano riformare la scuola nel dopoguerra, ai tempi della scrittura della Costituzione. Colpa, sostiene l’Ernesto, dell’assurda pretesa di voler formare gli italiani come soggetti civicamente pensanti, cosicché oggi è andato scomparendo «il merito del singolo» mentre le scuole sarebbero invase da eserciti «di antropologi e sociologi» (ah sì?). In platea si scatena lo sconforto: i prof hanno la sensazione che la bella signora ministra dalla parlata berlusconiana e l’affascinante professore parlino di altri mondi. Mondi un po’ cupi, dove si viene giudicati per il «corretto stile di vita» e dove è sbagliato, parola di ministra, preoccuparsi troppo del perché e per come quelli che vanno male vanno male, e del perché e del per come qualcuno ha problemi. «Socializzazione», la chiama la classe dirigente di oggi con una punta di disprezzo. Capalbio è sotto choc: il governo di Re Silvio IV è arrivato anche qui, sotto forma di gentile signorina Rottenmeier.


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