La ricerca, oggi, sembra un cantiere aperto. Un cantiere piccolo, purtroppo, grazie alla priorità che la nostra politica si ostina a negare al settore, in barba agli obiettivi fissati dall'Agenda di Lisbona.
Un cantiere caotico, di certo, privo di una direzione dei lavori in grado di coordinare, in coerenza con un progetto complessivo, gli interventi delle varie imprese esecutrici. Forse manca proprio il progetto, un'idea di rilancio della ricerca che passi anche attraverso un'aggressione alla crisi per favorirne la metamorfosi, tutt'altro che scontata, da flagello in opportunità, da disgrazia in fortuna. O forse un progetto c'è, ma è veramente difficile da percepire, nel Paese come nei luoghi di lavoro.
Un cantiere comunque pervasivo, che non si limita all'ennesimo tentativo di riassetto dell'architettura degli enti, come da settimane evidenziamo nelle pagine del nostro sito. I vari provvedimenti del Governo, urgenti e meno urgenti, mirano a rivedere, nei fatti, l'architettura disegnata dal legislatore per il governo dell'intero sistema. In prospettiva, nessuno sa come, saranno modificate in profondità le modalità d'indirizzo della ricerca e l'individuazione delle sue priorità.
Su questo, quanto prima, avremo modo di tornare. Vale comunque la pena d'anticipare un paio di questioni generali.
Le misure proposte sono gestite senza alcun coordinamento. Anche ammettendo che un disegno esista, la sua attuazione è assolutamente incoerente. In più, l'esecutivo mostra un'autoreferenzialità probabilmente senza precedenti nella storia della Repubblica, rifiutando sistematicamente un rapporto autentico con lo stesso Parlamento, ineludibile in un Paese che voglia dirsi normale. Occorre avviare tempestivamente una riflessione profonda su come coordinare le varie misure, individuando in parallelo le necessarie azioni correttive, pena un aumento d'entropia che potrebbe essere irreversibile e fatale per il sistema. Anche perché l'esecutivo prevede (non è una novità) l'impiego di risorse oggi destinate alla ricerca, comunque invariate se non ridotte, per sostenere i settori industriali in crisi. Esigenza sacrosanta, di certo, dare risposte alla crisi. Il problema è che, in un quadro di scarsità e invarianza (nella migliore delle ipotesi) delle risorse disponibili, impiegare parte del poco sinora destinato alla ricerca per sanare le crisi industriali rischia d'indurre comportamenti non virtuosi, disincentivando l'impresa ad investire risorse proprie e contribuendo così ad allontanare ulteriormente il nostro Paese dagli obiettivi di Lisbona.
C'è un'altra questione che è importante sottolineare. Come detto, percepire il disegno complessivo del Governo è difficile. Crediamo che, in particolare su questioni come la ricerca e la cultura, stiano per avvenire cambiamenti anche profondi senza che gli interessati, siano essi cittadini o i lavoratori direttamente coinvolti, riescano a percepirne obiettivi e strumenti. Di sicuro c'è un'incapacità comunicativa da parte dei decisori, probabilmente non sempre frutto del caso. Per un Governo fondato sulla comunicazione, si tratta di una contraddizione di non poco conto. Per il Paese, è forse una parte di ciò che, in assenza di correttivi, potrebbe trasformarsi un'emergenza democratica. Per noi è una ragione in più per rilanciare un'idea: quella di una Repubblica ancora fondata sul lavoro.
Prima scheda di lettura della FLC Cgil sui principali interventi legislativi in itinere.
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