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Il Presidente della Repubblica francese sul futuro della scuola

In questi ultimi giorni del 2003 vogliamo offrire una piccolo regalo ai nostri cari navigatori.

30/12/2003
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In questi ultimi giorni del 2003 vogliamo offrire una piccolo regalo ai nostri cari navigatori.

Vi offriamo il discorso che Jacques Chirac ha pronunciato nel mese di novembre in occasione dell’avvio del dibattito sul futuro della scuola francese.

Infatti, la Francia in questi mesi si sta interrogando sull’assetto del suo sistema scolastico. Per farlo si è dotata di una Commissione di studio particolarmente autorevole e rappresentativa ed ha aperto un confronto che durerà un anno e che investirà tutto il Paese.

Al termine si tireranno le file e la Francia deciderà cosa fare e come.

Facendo il paragone con quello che è stato fatto nel nostro Paese, in analoga occasione, c’è di chè rimanere sbigottiti: noi abbiamo gli occhi pieni di spot, le orecchie assordate da promesse ma per tutto il resto non è stato fatto nulla che assomigli a quello che un Paese come la Francia sta facendo.

Le parole di Chirac testimoniano di un impegno e di una volontà precisa con la quale si intende aprire il dibattito.

Buona lettura, quindi ad ulteriore riprova che un altro modo per cambare la scuola è possibile ma a noi è “toccato” il peggiore.

Ma, per tornare a casa nostra, mentre formuliamo ad ognuno di voi i migliori auguri per il 2004 informiamo le nostre controparti che continueremo a lavorare perché anche il 2004 sia sempre più pieno delle idee, delle parole e delle iniziative di quanti vogliono cambiare la nostra scuola pubblica per farla funzionare meglio e che si oppongono “senza se e senza ma” ad un disastro che alcuni chiamano “riforma Moratti”.

____________

Allocuzione del Sig. Jacques Chirac, Presidente della Repubblica,

in occasione dell’apertura del dibattito sul futuro della scuola

Palais de l’Elysée, Giovedì 20 novembre 2003

Signore Primo Ministro,

Signori Presidenti,
Signori Ministri,
Signore e Signori Parlamentari,
Signore e Signori Rettori,
Signore e Signori Ispettori Generali,
Signore e Signori Ispettori d’Accademie,
Signore, Signori,

Da più di un secolo, la Repubblica e la scuola si sono costruite l’una con l’altra. La scuola è stata il sogno della Repubblica. E rimane senza dubbio la più bella delle sue riuscite.

Permettere ad ogni spirito di conquistare la propria libertà, far vivere la parità delle opportunità, dare corpo alla fraternità facendo di tutti gli alunni i figli della Repubblica, nutriti dallo stesso sapere e della stessa cultura: ecco gli obiettivi che la Francia si è fissata quando ha istaurato la scuola gratuita, laica ed obbligatoria.

Il nostro paese non renderà mai abbastanza onore a tutte le persone, istitutori, professori, quadri, personali amministrativi e tecnici, che, forti della loro abilità, ma ancora di più del loro impegno, hanno saputo accogliere e formare generazioni sempre più numerose. Grazie a loro, grazie al loro ruolo di passatore, la scuola non è più quella degli “eredi” ma proprio quella di tutti. Senza di loro, la Francia non sarebbe sicuramente quello che è. Tutte quelle e tutti quelli che, nella scuola pubblica come in quella privata, hanno scelto di consacrarsi all’educazione dei nostri figli assolvono la più nobile missione, la più fondamentale che ci sia.

Eppure, ognuno lo sente, il nostro sistema educativo segna un po’ il passo. Cerca un nuovo soffio. Col passar delle crisi, la scuola esprime una specie di smarrimento. Si interroga sul contenuto delle sue missioni, su quello che può insegnare, su quello che deve rifiutare. Esprime il suo dubbio, il suo scetticismo, davanti a riforme sempre più numerose, non sempre applicate, raramente valutate. Interpella lo Stato. Ma, ancora di più, interroga la nazione.

Penso che sia arrivato il momento per il nostro paese di radunarsi intorno a quello che desidera per i suoi giovani e di rinnovare il patto che lo lega alla sua scuola. Tale è il senso del dibattito che auguro, e per il quale si è impegnato il Governo, dibattito sull’avvenire del nostro sistema educativo. Un dibattito aperto certo a tutte e tutti, ai praticanti della scuola naturalmente, ma anche a tutte le famiglie, a tutte le professioni, a tutti i francesi. Perché la scuola è il nostro patrimonio comune. Un dibattito, me lo auguro, esemplare, per il suo metodo e la sua vastità, che segnerà una tappa nella modernizzazione della nostra vita pubblica.

E soprattutto, un dibattito per agire, perché sboccherà sull’adozione di una nuova legge di orientazione che costituirà il nuovo progetto educativo della Francia.

Non è nella nostalgia che la scuola costruirà il suo futuro. E’ guardandosi davanti, fiduciosa, che resterà fedele alla sua eredità : quella di Condorcet, di Jules Ferry e di tanti altri. Pensiamo che i bambini che entrano oggi in materna lasceranno il sistema educativo circa nel 2020. Il mondo, l’Europa, la società cambiano e la scuola, come a tutte le tappe della sua storia, ha il dovere di anticipare questo cambiamento. Per un nuovo ambiente, una nuova ambizione e soprattutto un nuovo metodo.

La scuola risuona di tutte le sfide che attraversano la nostra società.

Sfida di un mondo sempre più aperto. Per i giovani, l’orizzonte non è più quello che disegnano le nostre frontiere, al contrario. Avranno bisogno di nuove chiavi per essere padroni del loro destino. Per far fronte a questa mondializzazione ricca di promesse ma anche d’interrogazioni e di preoccupazioni. Per conoscere meglio i nostri vicini dell’Unione europea, che sono ogni giorno di più i nostri concittadini. Per portare pienamente, in Europa e nel mondo, questo modello di umanismo che la Francia incarna e che difende sulla scena internazionale.

Sfida della società del sapere. La conoscenza è la chiave dello sviluppo individuale e il fondamento della ricchezza delle nazioni. Man mano che l’età dell’informazione succede all’età industriale, l’ignoranza è ancora più di ieri sinonimo di esclusione. La nostra scuola ha il dovere di preparare le future generazioni a quest’evoluzione maggiore delle nostre economie. Dare loro le risorse necessarie per formarsi lungo tutta la vita e muoversi con facilità in questa società del cambiamento e dello scambio. Nei prossimi vent’anni, la Francia avrà bisogno di più sapere, di più competenze, di più qualificati, di più diplomati. Per assicurare la crescita e l’occupazione, deve decisamente perseguire il rialzo del livello di conoscenze. Deve naturalmente fare la scommessa dell’intelligenza.

Sfida infine della coesione nazionale. E’ a scuola che si crea l’adesione ai valori che abbiamo in sorte e che si acquisiscono anche le regole di comportamento che esprimono questi valori : lo spirito di responsabilità, il rispetto dell’altro e il rispetto dei doveri civici, la tolleranza e la solidarietà. Domani come ieri, la scuola della Francia deve essere e sarà la scuola della Repubblica.

Tutte queste sfide incontrano un momento particolare della nostra storia.

Come è confermato dalla diagnosi preparata dall’Alto Consiglio della valutazione della scuola e i lavori della Commissione presieduta dal Sig. Claude Thélot, ai quali esprimo tutta la mia riconoscenza, la scuola ha raggiunto una specie di grado. Dopo decenni di progressione, il numero degli alunni si stabilizza. Nonostante i mezzi sempre più importanti, più di 100 miliardi di euro all’anno, l’uno degli sforzi più elevati al mondo, i risultati ristagnano, qualche volta regrediscono. La percentuale di studenti che provengono di famiglie modeste non progredisce più. Delle zone d’ombra persistono che sono altrettante ferite: insufficiente padronanza dei saperi fondamentali all’uscita delle elementari; insuccesso troppo elevato alla fine della scolarità obbligatoria; deterioramento delle relazioni d’autorità tra adulti e giovani; sviluppo preoccupante delle inciviltà e della violenza; disparità inaccettabili tra stabilimenti scolastici. Tutte difficoltà affrontate, sotto l’impulso e l’autorità del Primo Ministro, dal Sig. Luc Ferry e dal Sig. Xavier Darcos.

La Francia non saprebbe lasciar perdurare a scuola, cioè nel cuore stesso della Repubblica, questi fermenti di disparità. Ecco la posta del dibattito che si apre: tracciare una nuova strada per la scuola. Forte di un diagnostico condiviso, sappiamo riunirci per assicurare l’avvenire dei nostri figli. Sappiamo oltrepassare delle scissioni di un altro tempo. Il dibattito sulla scuola è stato troppo a lungo confiscato. Non è la prerogativa di nessun campo, di nessun partito, di nessun clan: E’ ora che sia restituito ai Francesi.

Questo dibattito è l’occasione di unirsi sull’essenziale. E’ un dibattito per agire. Agire per rendere la nostra scuola più sicura dei suoi valori, più efficace, più giusta. Agire per rispondere alle grandi questioni che si pongono oggi al nostro sistema educativo :

  • assicurare la trasmissione di valori repubblicani per che la nostra scuola sia realmente la scuola del rispetto e della comprensione dell’altro;

  • garantire, dalla più tenera età, la padronanza della lettura, affinché sia per ogni allievo l’alleato di tutta la vita nella scoperta del sapere;

  • riconoscere meglio la diversità dei talenti ed offrire a tutti, in seno al collegio, un vero percorso di riuscita;

  • e infine trarre il migliore profitto dalle risorse e dalle competenze eccezionali che il nostro paese dedica e continuerà di dedicare all’educazione.

E prima, perché è essenziale, far condividere da ogni bambino, specialmente quelli che entrano nella comunità nazionale, i valori, l’originalità, la forza del messaggio francese.

Formarsi prima al rispetto dell’altro, qualunque siano la sua storia, le sue credenze e le sue appartenenze. La scuola, dove si trasmettono la tolleranza e il senso del dialogo, deve imperativamente essere preservata da queste ingiurie all’umanesimo che sono l’antisemitismo, il razzismo e la xenofobia. Il rispetto della parità tra i sessi e il rispetto dei diritti delle donne. Contro l’ascesa dei comunitarismi, l’ideale universalista ed emancipatore della scuola francese deve essere instancabilmente ricordato, spiegato, applicato. I giovani devono insegnarci la storia, quella della nazione, delle sue istituzioni, devono insegnarci a rispettare il suo inno e la sua bandiera, che ha naturalmente il suo posto in ogni stabilimento. Devono impararci il senso profondo della laicità che permette di accogliere in un crogiolo comune tutte le differenze : la laicità è e resterà uno dei valori primordiali dell’istituzione scolastica.

Formarsi poi al rispetto delle regole e dell’autorità. E’ per la nostra scuola una questione di sopravivenza. Rispetto degli insegnanti, qualche volta esposti a comportamenti inaccettabili, a propositi inammissibili, che rimettono in questione la loro autorità, quella del loro sapere e della loro dignità. Voglio dire loro che possono contare sul sostegno e sulla determinazione dello Stato. Se dobbiamo rallegrarci dei primi risultati registrati, bisogna andare avanti, molto più lontano e ridurre in modo massiccio, prima della fine della legislatura, il numero d’incidenti gravi rilevati negli stabilimenti scolastici. Rispetto anche degli alunni che ne hanno bisogno quanto degli interdetti e dei limiti per costruire la loro personalità. Rispetto dei regolamenti che non sono un insieme di procedure pignole, ma la traduzione del progetto educativo di cui la scuola è portatrice.

Come potrebbe una società a questo punto dubitare di se stessa al punto di non essere più capace di affermare e di fare rispettare i suoi valori per proteggere i suoi figli? Come potrebbe la scuola, di cui il principio stesso è di radunare i bambini più diversi tra loro, essere una comunità senza punti di riferimento? La scuola deve essere, deve ridiventare quando questo si è perso, il luogo della trasmissione dei valori condivisi, il luogo della responsabilità. L’educazione civica deve lì fare tutta la sua parte. Non c’è parità davanti alla legge senza rispetto delle leggi comuni. Non c’è libertà se questa libertà non è stabilita per tutti.

Più sicura dei valori che porta, la nostra scuola dovrà anche essere più efficace e più giusta.

Abbiamo tutti la stessa ambizione. Essa è semplice: offrire ad ogni bambino, al 100% di una classe di età, compresi i bambini handicappati esclusi per troppo tempo, le chiavi dell’adempimento personale. La scolarità obbligatoria deve essere per ogni bambino un percorso di riuscita, che lo porti al migliore di se stesso, che gli permetta di trovare la sua strada e il suo posto nella società. Senza pregiudicare certo dei risultati del dibattito che si apre e che s’impegna, questo impone di farsi almeno tre domande.

Prima, come assicurarsi, dalla più giovane età, la maestranza dei saperi fondamentali, e in primo piano della lettura che è la chiave di tutti gli addestramenti?

La questione è antica ma la realtà sta qui: quando 15% di una classe di età ha difficoltà a leggere, come non interrogarsi sull’organizzazione dei primi anni di scuola? Sull’efficacia, sulla valutazione dei metodi di insegnamento della lettura? Sulla formazione e il sostegno pedagogico dati ai professori ma anche sulla valorizzazione delle buone pratiche e dell’esperienza?Sull’individuazione delle difficoltà degli alunni e il modo di rimediare a queste difficoltà ? Sulla riconoscenza, forse in modo più solenne, dell’acquisizione della lettura? Su questo punto cruciale, vorrei che il dibattito permettesse di fare un passo avanti decisivo identificando i blocchi e facendo conoscere i migliori modi di fare. Un allievo che lascia la scuola elementare deve naturalmente saper leggere e scrivere.

Come in seguito sviluppare soluzioni educative più diversificate al collegio perché il collegio unico diventi veramente un collegio per tutti? Anche questo punto, certo difficile, non è nuovo. Troppo spesso, il generoso principio di parità delle opportunità si è tradotto con l’idea che bisognerebbe imporre un insegnamento uniforme. Quest’uniformità ha potuto, senza che ne fossimo sempre coscienti, fare nascere qui o là gravi disparità. Impariamo a rispettare meglio la diversità degli alunni. Impariamo a valorizzare meglio la varietà dei percorsi, delle qualifiche e delle stradi di riuscita che offre una società moderna. La Francia ha bisogno di tutte le competenze e di tutti i talenti. Al termine della scolarità obbligatoria, ogni allievo deve aver acquisito una base fondamentale di saperi, di competenze e di regole di comportamento che lo prepari pienamente alla sua vita di adulto, che faccia la scelta di studi pi lunghi o che decida di entrare piuttosto nella vita attiva.

Definire questa base comune. Definire la diversità dei percorsi nell’istruzione secondaria. Permettere a tutte le strade – strada professionale, strada dell’alternanza, strada tecnologica, strada generale – di sboccare sul livello più alto possibile di qualifica ed aver cura di tutte le passerelle, nell’ambito della formazione iniziale e continua. Su tutti questi argomenti, aspetto dal dibattito che sbocchi su proposte forti.

Su questo percorso di riuscita che vogliamo costruire, l’informazione di ogni alunno e della sua famiglia è essenziale. E’ l’uno dei principali motivi di disparità. E’ l’uno dei campi nel quale i genitori e i giovani si sentono spesso più sprovvisti. Un bivio di orientamento deve essere offerto ad ogni studente, con la partecipazione della sua famiglia, per fare un punto preciso sulle sue esperienze, apprezzare tutte le strade che si offrono a lui e segnalargli le possibilità di percorsi alle quali, per misconoscimento, qualche volta per auto censura, non avrebbe forse pensato.

Come infine assicurare una migliore apertura sul mondo? Certo, l’istruzione rimane, e questo non è ovviamente discutibile, nel campo della sovranità nazionale. Ma il modello francese potrà rafforzarsi solo se si apre di più verso l’esterno, partecipando alle valutazioni internazionali, contribuendo a definire obiettivi comuni. D’altronde, in un’Europa allargata, la padronanza delle lingue straniere sarà ogni giorno più indispensabile. Sviluppo in ogni accademia delle sezioni europee e degli istituti a vocazione internazionale. Intensificazione degli scambi linguistici e dei gemellaggi. Curricoli progressivi, coerenti e leggibili, dalla scuola elementare fino all’università per l’insegnamento delle lingue. La formazione fin dalle elementari deve permettere che tutti gli studenti sappiano veramente parlare due lingue straniere.

Più sicura dei suoi valori, più efficace nei suoi metodi e nei suoi risultati, la nostra scuola sarà più giusta. La parità delle opportunità è al cuore del dibattito. Richiede sicuramente, anche lei, nuove risposte. Sappiamo, per citare solo quest’esempio, le difficoltà molto pesanti alle quali è confrontato un certo numero di istituti, spesso in zone sensibili. Allo stesso titolo che esiste una politica della città, che concentra gli aiuti pubblici su qualche quartiere, questi istituti, identificati da tempo, esiguono particolari sforzi e progetti innovativi, o addirittura sperimentali. L’educazione nazionale deve rispondere pienamente a questa sfida, costruendo per loro un piano, iscritto nella durata e regolarmente valutato.

Nuovo ambiente, nuova ambizione, e soprattutto nuovo metodo. Perché aldilà delle finalità sulle quali, ne sonno convinto, possiamo facilmente accordarci, è prima di tutto la questione della strada, delle modalità dell’azione, alla quale è ora di rispondere. Non straziamoci all’infinito su dibattiti inutili e sterili. Mobilitiamoci prima sul modo di raggiungere gli obiettivi che condividiamo. Tra la crisi e l’immobilismo, c’è un’altra strada possibile. Il dibattito deve essere, me lo auguro, l’occasione per esplorare senza tabù, con lucidità e onestà, tutte le leve del cambiamento per costruire questo futuro di fiducia di cui abbiamo fortemente bisogno. Priorità dell’azione pubblica, primo budget della Nazione, la scuola deve certamente essere il primo cantiere della riforma dello Stato.

So che i personali dell’Istruzione nazionale, e specialmente i giovani professori, desiderano questo cambiamento. Se esprimono oggi le loro interrogazioni, è spesso perché si sentono dimenticati, trascurati, ostacolati da un sistema, delle regole o semplicemente delle abitudini che non rispondono più alle realtà alle quali sono confrontati ogni giorno nella solitudine della loro classe. La nostra istruzione si è costruita su dei principi, delle regole che risalgono per certi di loro al pre-guerra, ad un’epoca durante la quale il mestiere di pedagogo era senza dubbio più facile. Come potremmo non interrogarci sull’evoluzione, la modernizzazione e la valorizzazione di questo mestiere?

La constatazione appena stabilita ci invita ad interrogarci sul modo di migliorare il funzionamento dei nostri istituti, di accompagnare meglio le missioni e la carriera dei professori e ancora di più di promuovere un vero dialogo a scuola.

L’istruzione è nazionale. E lo resterà, naturalmente. Ma i collegi e i licei di domani avranno sempre più bisogno di flessibilità. Dovranno essere più autonomi. Dare tutto il posto necessario, sul campo, agli insegnanti, alle squadre educative, ai presidi. Facciamo la scelta della fiducia. Impegnamoci, là come altrove, in questa cultura di obiettivi, di contratti, con un obbligo di risultati e una valutazione degna di questo nome. Siamo capaci di redigere una diagnosi condivisa sulla nostra scuola. Siamo capaci di tirarne le conseguenze. Il nostro paese consacra più di 7% della sua ricchezza all’istruzione. Questa percentuale è raddoppiata da quindici anni. Dei margini di manovra esistono, molto più importanti di quello che si crede. Dobbiamo sapere utilizzarli.

Nello stesso spirito, lo Stato deve mostrarsi esemplare al riguardo di tutti quelli che hanno scelto di consacrarsi all’istruzione. La scuola vive grazie alle donne e agli uomini che le danno corpo. Più di un funzionario dello Stato su due si dedica all’istruzione. Alle persone che trasmettono il loro sapere ai nostri figli dobbiamo una considerazione particolare. Al momento in cui una generazione di professori passa la fiamma ad un’altra e che ci dicono le loro difficoltà crescenti nell’esercizio del loro mestiere, nella sua riconoscenza per la nazione, è vitale per il futuro del nostro paese che lo Stato sappia, come nel passato, suscitare le vocazioni ed i talenti nuovi di cui la scuola ha bisogno.

Per questo motivo, non è ora di aprire il grande cantiere del mestiere d’insegnante? Sostegno materiale e morale ai giovani professori al momento dell’arrivo al loro primo posto. Riforma degli IUFM, per migliorare la formazione iniziale dando tutto il loro posto alla pratica ed all’esperienza sul campo. Riflessione aperta sugli obblighi di servizio per favorire la riuscita degli allievi, meglio prendere in conto i bisogni degli istituti o la situazione dei personali. Aiuto e sostegno nel corso della carriera a partire di valutazioni trasparenti deducendo i successi e le difficoltà. Possibilità di approfondire le proprie conoscenze a diverse tappe della propria carriera, per esempio attraverso un diritto individuale alla formazione paragonabile a quello che i partner sociali hanno appena creato. Possibilità di esercitare nuove responsabilità negli istituti a certi momenti del proprio percorso, e specialmente a fine carriera. Possibilità di iniziare una seconda carriera o di prendere per qualche tempo altre funzioni nell’amministrazione o nel settore privato. I cantieri non mancano. Sono convinto che il dibattito rivelerà tante opportunità.

Ma, su tutti questi argomenti, progrediremmo soltanto con il dialogo. Dialogo con i genitori e le famiglie, per i quali quest’universo rimane ancora troppo ermetico. Non è contestare l’autorità dei maestri che incoraggiare questo scambio e badare ad informare meglio le famiglie, ad associarle di più alla vita degli istituti. Dialogo con gli amministratori locali, al fine di trarre tutto il profitto possibile dalla nuova ripartizione tra lo Stato e le collettività territoriali e anche dalle iniziative locali, specialmente nel campo delle attività parascolari, culturali o sportive. Dialogo con i datori di lavoro, privati e pubblici, per un migliore equilibrio tra insegnamento e situazioni d’apprendistato in ambito professionale e, proprio con questo, un’inserzione più sicura dei giovani nella vita attiva. Dialogo infine con tutti i personali dell’istruzione nazionale ed i loro rappresentanti senza i quali naturalmente niente si potrebbe fare.

Nel cuore del dibattito che si apre, sappiamo anche sentire i giovani stessi. Che siano studenti di collegi, di licei, apprendisti o studenti universitari, a tutte ed a tutti, voglio dire che si tratta oggi proprio di loro e del loro futuro. Che non si lascino prendere dal dubbio, dal scetticismo o dalla disillusione. La scuola, non dimentichiamolo, è un’opportunità quanto una conquista. Se non s’impara tutto in una classe, è lì che ogni alunno costruisce, con i suoi professori, la sua vita da adulto. E’ pensando alla nostra giovinezza, alla sua capacità d’impegno, alla sua sede d’ideale che dobbiamo condurre le nostre riflessioni. Abbiamo il dovere di offrirgli la migliore scuola possibile.

In un mondo in movimento, molti dei nostri vicini hanno iniziato questi ultimi anni la riforma e l’adattamento del loro sistema educativo. La Francia ci si impegna oggi con determinazione, nella fedeltà ai valori del servizio pubblico ai quali è, tutti lo sanno, profondamente legata.

Da tanto tempo, il nostro paese lotta sul palcoscenico internazionale, all’ONU, all’UNESCO, all’OMC, in seno all’Unione europea, la Francia lotta contro il mercanteggiare della cultura e dell’educazione. Per noi, cultura ed educazione non sono e non possono essere dei beni come gli altri, sottoposti alle fluttuazionidei mercati. Esprimono quello che i popoli e le nazioni hanno di migliore, la loro vision dell’uomo e del suo destino, la loro fiducia nel futuro e il progresso. Dicono anche la loro ambizione per un mondo che da tutto il suo posto alla giustizia ed all’emancipazione degli uomini e delle donne.

La scuola della Repubblica, cemento della nazione, è alla base stessa dell’identità francese. Le daremo un nuovo slancio se ogni francese prende coscienza di tutto quello che lo lega a questa grande istituzione. Se le vogliamo sufficientemente bene per farne un progetto condiviso, per investirci il nostro lavoro e la nostra volontà, per accettare di cancellare certe nostre differenze partecipando a quest’avventura collettiva. E non sapremmo essere troppo esigenti. Non dimentichiamo che la scuola è una scala tesa verso il futuro. Per diventare realtà, deve prima di tutto essere ambizione.

Questo dibattito nazionale è un’opportunità per il nostro paese. Voglio ringraziare qui tutte le maestranze che ne assicurano la preparazione, il coordinamento e la sintesi. Da parte mia, lo abbordo senza a priori, con l’augurio che ci permetta di risolvere collettivamente questioni complesse ma essenziali, lontano dai litigi partigiane e dagli scontri appassionati di cui abbiamo in Francia molto spesso il segreto. Deve, ancora una volta, essere un dibattito per agire. E invito ognuna ed ognuno a portargli il migliore di se stesso per costruire insieme il futuro, il futuro della nostra scuola, il nostro futuro, quello della Francia.

Vi ringrazio.

30 dicembre 2003