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25 aprile. Una lezione da non dimenticare

Le lettere dei condannati a morte della resistenza sono un documento di etica civile che dovrebbe ancora ispirare le azioni di tutti noi, soprattutto di chi è impegnato nella cosa pubblica.

24/04/2012
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25-aprile-1945-02Erano quasi tutti giovani e giovanissimi, proprio come quelli che fecero il risorgimento e come quelli furono in molti a lasciare la vita sul campo per l'Italia e per la libertà.

Sono i partigiani e i combattenti antifascisti, quelli che resero possibile il 25 aprile e liberarono l'Italia dalla dittatura e dall'occupazione nazista.

Grazie a loro celebriamo il 25 aprile, la festa della liberazione.

Erano giovani, dunque, studenti, operai, professori, tra loro anche tante donne. Erano figli e figlie, fratelli, sorelle e genitori. Tanti sono tornati vincitori, hanno partecipato alla vita politica italiana, alla stesura della Costituzione, al riavvio della convivenza democratica, alla ricostruzione e allo sviluppo dell'Italia. Due di loro sono stati Presidenti della Repubblica, Pertini e Ciampi.

Di quella generazione che ha partecipato alla politica e alla vita pubblica con spirito di servizio, passione civile e amore per il proprio paese sembra essersi perso lo stampo. E invece i politici, almeno quelli onesti (che sono la maggioranza) dovrebbero imparare dalla lezione di questi giovani padri della patria e trarne ragioni di impegno e ispirazione etica. Sembrano espressioni fuori moda e forse faranno sorridere qualcuno. Ma chi come noi, come i lavoratori, i pensionati, i precari sta subendo i colpi di una crisi provocata dall'avidità di pochi e dall'asservimento della politica a quei pochi, a quei valori ha bisogno di richiamarsi per ritrovare anche nella storia collettiva una scossa, un invito alla fiducia e uno stimolo anche all'impegno personale.

Riproponiamo alcune lettere delle condannati a morte della resistenza (non possiamo pubblicarle tutte, ma ne consigliamo la lettura), perché sono un esempio commovente di quanto siano forti le idee e il senso di giustizia. Nessuno di questi ragazzi, giustiziati da tedeschi e fascisti, è felice di morire, ma tutti sono sereni perché sono certi che alla fine le loro idee vinceranno e l'Italia sarà libera e più giusta. Il loro sacrifico ci richiama alle nostre responsabilità, obbligandoci a non lasciare andare in malora il nostro paese.