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Maurizio Landini: la conoscenza e il lavoro, elementi centrali per capire la complessità del mondo e per trasformarlo

Articolo di Pino Salerno pubblicato su articolotrentatre.it.

06/05/2022
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Incontro il segretario generale della CGIL, Maurizio Landini, all’Accademia della Crusca, a Firenze, in occasione della celebrazione del quinto anniversario della morte di Tullio de Mauro, in una sala gremita ma attenta ad osservare tutte le regole anti-covid. Al centro del dibattito c’è il senso della conoscenza, del sapere, in un mondo complesso che cambia così velocemente ma anche così pericolosamente. E pone enormi problemi all’umanità. E con l’invasione russa dell’Ucraina il tema del conflitto armato come soluzione dei problemi internazionali è tornato estremamente d’attualità. Maurizio Landini non si è sottratto alla sfida epocale che questo nostro tempo ci obbliga ad affrontare e le sue riflessioni sono elementi forti del dibattito pubblico innescato dalla CGIL.

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Segretario Landini, siamo nel XXI secolo ma pare che il Novecento sia ancora qui dinanzi a noi a ricordarci questioni, problemi, difficoltà non ancora risolti. Forse è ancora come sosteneva Gramsci, “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”.

Uno dei punti sui quali occorre riflettere oggi quando parliamo di scuola, istruzione e formazione è intanto chiedersi cosa è diventato il lavoro, qui ed ora, nel XXI secolo. Il fatto è che contenuti e qualità del lavoro sono molto peggiorati, al punto che esso è divenuto una qualsiasi merce. Proprio perché il lavoro è attività fondamentale per la realizzazione delle persone è importantissimo parlare di formazione come diritto permanente nell’arco della vita. E parlare di conoscenza e di istruzione significa affrontare la questione della qualità del lavoro e del significato di ciò che si produce.

Da tempo il valore e il peso del lavoro sono stati stravolti e indeboliti e la pandemia ha dimostrato l’insostenibilità di un modello economico fondato sulla precarietà e la riduzione dei diritti.

In questo senso accolgo la frase di Gramsci: uno dei fenomeni più morbosi del nostro tempo riguarda proprio le forme in cui si è agito sui diritti del lavoro.

Conoscenza, lavoro, dignità delle persone, libertà, tutto si tiene dunque?

Stiamo vivendo una fase in cui occorre rimettere al centro il lavoro, inteso come partecipazione attiva delle persone. Il lavoro, quindi, va posto al centro di un nuovo modello di sviluppo sostenibile sul piano sociale e ambientale. Battersi per acquisire il diritto alla conoscenza e all’istruzione deve diventare un elemento fondamentale della nostra battaglia per la costruzione di un assetto economico e sociale diverso. Le scelte politiche fatte negli ultimi anni hanno, di fatto, posto limiti inaccettabili al diritto allo studio e alla formazione. C’è bisogno di cambiare. Il diritto alla conoscenza va garantito a tutte e tutti e deve diventare un diritto soggettivo delle persone durante tutto l’arco della vita.

Cosa significa in termini contrattuali e di diritto del lavoro?

Se lo si guarda dal punto di vista strettamente contrattuale dobbiamo mettere in discussione intanto il livello di precarietà che si è determinato nel lavoro; un livello che non ha precedenti nella nostra storia recente. La precarietà non è una strada obbligata. È invece il frutto dell’attuale modello economico e sociale. Un modello di crescita che va cambiato perché produce diseguaglianze e competizioni tra le persone. Il tema che ci si pone dinanzi è come si realizzano modelli organizzativi nel lavoro che siano cooperativi e finalizzati a un diverso assetto sociale. La conoscenza non è solo nozionismo, ma deve essere legata alle trasformazioni in atto oggi, nel lavoro e nel complesso della società. Ciò comporta modifiche legislative e contrattuali. Deve diventare normale la scelta per cui durante l’orario di lavoro per ogni settimana, per ogni mese si è retribuiti perché si studia, ci si aggiorna, ci si forma. Diventa fondamentale costruire le condizioni, anche sul terreno della contrattazione, per un diverso rapporto tra tempo di lavoro e tempo di vita. Tuttavia, in questi giorni, in queste settimane, è scattato un nuovo allarme. La guerra torna ad essere un possibile strumento di regolazione dei rapporti tra gli Stati. È davvero preoccupante che il conflitto bellico torni ad essere considerato un evento possibile. Io penso che tutti dovremmo batterci per far sì che la guerra sia eliminata dalla storia. Siamo arrivati al punto che la conoscenza è stata utilizzata per produrre tecnologie e armi sofisticate che mettono fine alle persone e conducono a pericolose forme neo-autoritarie. Io penso invece che una delle questioni centrali sia oggi quella di battersi per dare una prospettiva e un futuro diverso alle prossime generazioni. Lo dico perché studio e conoscenza sono elementi di emancipazione e liberazione; la stessa scienza e le tecnologie vanno finalizzate a obiettivi socialmente utili e non utilizzate come strumenti di oppressione, sfruttamento sul lavoro o, peggio ancora, di morte e stermini. Ritengo che proprio la formazione e la conoscenza siano elementi fondamentali per contrastare le guerre e costruire una nuova cultura della pace.

Richiami spesso la nostra responsabilità di adulti nei confronti delle nuove generazioni. Una responsabilità che unisce il nostro sindacato alla missione emancipatoria della scuola. A che punto siamo?

La mia generazione è cresciuta sapendo che poteva sperare in un futuro diverso rispetto a quello dei propri genitori. Questo anche attraverso un miglioramento delle condizioni materiali di vita. Quel che sta avvenendo adesso, a differenza di quanto accaduto alla mia generazione, in realtà non lascia intravedere un futuro migliore. Si avverte un’incertezza senza precedenti: la pandemia ha fatto emergere ingiustizie e disuguaglianze; il riscaldamento climatico rischia di mettere a repentaglio l’esistenza stessa della vita sul pianeta; oggi esplode una guerra nel cuore dell’Europa. Come sarà il futuro nei prossimi 10 o 15 anni è un tema presente in tutti noi ed è al centro delle preoccupazioni delle nuove generazioni. Ciò che sta accadendo richiede una nuova elaborazione su cosa occorra fare oggi per cambiare il mondo. Penso che mai come adesso ci sia bisogno di un lavoro collettivo che si misuri con la complessità del mondo, aprendosi al confronto, e promuovendo azioni e iniziative. Significa partire dai fondamentali, e, cioè dai diritti e dai contenuti del lavoro. Significa mettere in campo riforme.

Secondo te quali sono le più significative e/o urgenti per il sistema della conoscenza?

La prima è quella di arrivare all’obbligo scolastico da zero a 18 anni. La seconda è quella di ripensare il sistema scolastico e la formazione stessa quale diritto di tutte le persone durante l’intero arco della vita. Oggi siamo ben lontani da questi obiettivi. Anche per questa ragione c’è un aumento esponenziale delle disuguaglianze. E ciò è il frutto di una cultura che ha teorizzato la centralità del mercato senza alcuna regolazione sociale. Ciò pone la necessità un cambiamento radicale. L’altro grande tema su cui vedo un ruolo importante del sindacato è quello relativo a come indirizziamo e gestiamo i processi di cambiamento del nostro modello di sviluppo. Quando parliamo di cambiamento climatico parliamo di ricostruzione di una cultura che favorisce la vita collettiva, la solidarietà, il vivere assieme.

E in questo senso la CGIL può davvero fare molto per il cambiamento...

Il sindacato non l’ha ordinato il medico. Le persone decidono di mettersi assieme per affrontare i problemi individuali e collettivi. Battersi per i diritti delle persone e affermarne di nuovi significa anche cambiare l’organizzazione sindacale. A maggior ragione quando vanno affrontati problemi assai complessi. Il ruolo di un’organizzazione sindacale non è solo quello di rivendicare più salario e meno orario. Ovviamente, questo è un terreno fondamentale. Oggi però si tratta di affrontare il tema di cosa produci, come lo produci e con quale sostenibilità sociale ed ambientale. I lavoratori e le lavoratrici devono poter dire la loro sulla natura degli investimenti, sugli indirizzi delle imprese, consapevoli che oggi è ancora più acuta l’esigenza di una riflessione tra il diritto di proprietà e la libertà delle persone nel lavoro. Bisogna investire sull’intelligenza dei lavoratori, tanto più oggi quando è del tutto evidente che le scelte del mercato mettono a repentaglio la vita sul pianeta e il destino delle future generazioni.

Non è il superamento del capitalismo ciò di cui sto parlando, ma ragiono su come i bisogni delle persone possono rappresentare il fondamento su cui costruire un nuovo modello sociale ed economico. Il lavoro e la persona tornano ad essere centrali per rideterminare il sistema economico e sociale. Mi accontenterei oggi se vi fosse intanto pari dignità tra il lavoro e l’impresa, e questo significa, come ho già detto, dare la possibilità alle persone di poter partecipare alle scelte. Ciò significa che applicare la Costituzione nel nostro sistema economico e sociale rende concreti i diritti al lavoro come diritti inalienabili di cittadinanza. E ti dirò anche che la vera lotta alla disuguaglianza vede come discriminante proprio il diritto alla conoscenza. In questo contesto, c’è bisogno sia di un’azione contrattuale sia di un’azione legislativa che modifichi leggi sbagliate.

Quel che vediamo in termini di disuguaglianze sociali è che ormai si sta allargando la distanza tra ricchi e poveri, tra territori ricchi e territori poveri, tra chi ha un lavoro povero e chi invece specula o evade. Tutto ciò ricade pesantemente sulle condizioni di partenza dei nostri figli, i quali, con l’immobilità sociale così devastante, non vedono più nella conoscenza un elemento di emancipazione e di progresso, personale e collettivo.

Si apre la grande questione della redistribuzione e della giustizia fiscale, in un sistema che nel corso degli ultimi anni ha smarrito l’importanza della conoscenza,  della salute pubblica e della sicurezza sociale. Vorrei aggiungere un tema in più, come elemento di discussione futura: il diritto alla formazione deve diventare anche un diritto all’interno del movimento sindacale,e oggi ancora non lo è. La forza di un’organizzazione sindacale come la CGIL, con milioni di iscritti, centinaia di migliaia di delegate e delegati, una presenza in ogni territorio attraverso le Camere del lavoro, è quella di una grande organizzazione con una straordinaria capacità di rappresentanza. Questo d’altronde lo confermano i dati relativi ai successi alle elezioni delle Rsu in tutto il settore del lavoro pubblico. Noi non abbiamo un sistema di formazione per chi è impegnato nel sindacato. Se parliamo di contrattazione dobbiamo sapere come si contratta nei luoghi di lavoro e nei confronti dello Stato o delle imprese. È dunque decisivo alimentare le competenze, le conoscenze di chi si occupa di sindacato, magari attraverso collaborazioni con centri di ricerca e università. E così la conoscenza, attraverso la formazione, diventa elemento centrale anche della democrazia sindacale, luogo dove viene riconosciuto lo spazio della conoscenza.

È l’inizio di una nuova stagione della CGIL?

Ho visto cose pessime, realizzate sia da chi ci governava da destra sia da chi ci governava da sinistra, e non lo dico per affermare la tesi per cui tutti sono uguali, anzi. Lo dico per rivendicare un’azione politica collettiva, per alimentare riforme importanti, il cui punto di partenza siano sempre bisogni, desideri, conoscenze di ciascuna persona, di ogni lavoratrice o lavoratore.