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Legge di bilancio 2017: misure dal sapore elettorale. Il nostro commento

La parte del leone gli incentivi alle imprese. Le risorse per i nostri settori ci sono, ma poche e quasi sempre spese male. Insufficienti quelle per il rinnovo dei contratti di lavoro. La FLC CGIL già nei prossimi giorni proporrà specifici emendamenti.

09/11/2016
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Il quadro generale

La legge di bilancio 2017 presentata il 29 ottobre 2016 alla Camera dei Deputati  è sostanzialmente in linea con quella precedente. Prevede un’espansione della spesa pubblica che porta il deficit dall’1,6% tendenziale al 2,3%, comunque mantenendolo ben lontano dal 3%. La maggiore flessibilità richiesta quest’anno sarà giustificata dalla necessità di fronteggiare le spese per i flussi migratori e quelle straordinarie conseguenza del drammatico terremoto che sta flagellando il nostro paese. Il testo nel suo complesso è caratterizzato da una molteplicità di misure dall’incerto impatto economico e dal sapore fortemente elettorale, se così si può dire. Basti pensare che quasi sette miliardi di coperture sono soltanto ipotetici e affidati al successo di misure anti evasione, condoni, e aste per le frequenze il cui esito e tutt’altro che scontato. Grande promozione è stata fatta negli ultimi mesi a uno degli aspetti chiave di questa legge cioè le norme collegate al programma chiamato Industria 4.0. Si mettono in campo dodici miliardi (non ancora definiti) da qui al 2020 e si prevedono investimenti privati pari a dieci miliardi fino al 2018 incentivati attraverso la fiscalizzazione nei successivi (7?) anni. Le imprese, ricordiamolo, già hanno goduto e continuano a godere delle misure di decontribuzione sulle assunzioni per un costo complessivo di 20 miliardi nel quadriennio 2015-2018. In particolare nel nuovo pacchetto di incentivi spiccano la proroga del superammortamento al 140% e l’iperammortamento per i nuovi beni strumentali collegabili al programma industria 4.0 che arriva così al 250%. In sostanza si tratta di due meccanismi che consentono di detrarre dalle imposte una buona percentuale delle spese sostenute per l’acquisto di beni utili allo svolgimento delle attività di produzione. Nelle intenzioni del Governo questo sostegno è finalizzato principalmente agli investimenti in tutte le tecnologie abilitanti al centro della digitalizzazione dei processi produttivi per rilanciare l’industria in particolare manifatturiera. Altra misura di spicco è l’aumento del credito di imposta incrementale per spese in ricerca e sviluppo che passa dal 25% al 50% per somme che possono arrivare fino a 20 milioni di euro. A ciò si aggiungono detrazioni fiscali fino al 30% per investimenti fino a un milione di euro in start up e Pmi innovative oltre a interventi assolutamente non selettivi come il taglio dell’Ires che, ricordiamo, è l'imposta sui profitti delle aziende. Ci soffermiamo in premessa su queste misure perché dal 2017 al 2020 dovrebbero comportare una spesa (derivante prevalentemente da minori entrate) pari a 13 mld di euro per favorire investimenti privati pari a 24 miliardi di euro. Cifre astronomiche – e in gran parte ipotetiche – giustificate sulla base dell’assunto vero che il nostro paese vive un colossale ritardo sul piano dell’innovazione tecnologica, ma che porta alla conclusione sbagliata: anziché investire direttamente in istruzione, scienza e tecnologia rilanciando il ruolo strategico dello Stato, si procede con una politica dell’offerta già ampiamente fallita seppure con costi minori.

Nella legge, oltre ai 25 miliardi già realizzati in tre anni, si prevedono nuovi tagli alla spesa pubblica per 3,3 miliardi (ottenuti da centralizzazione degli acquisti, “revisione” ed “efficientamento”, compresa la Sanità), con ulteriori effetti negativi sulla domanda. Il pacchetto pensioni vale 7 miliardi in tre anni, di cui 1,9 miliardi nel 2017, ovvero +400 milioni rispetto alle prime stime, per effetto dell’innalzamento del tetto di accesso all’APE “sociale” (usurati, precoci, disoccupati di lungo periodo, ecc.). Tutte le stime sono virtuali e si può prevedere che il risultato sarà analogo a quello del TFR in busta paga: poche adesioni e meno spesa del previsto. I maggiori benefici ai pensionati proverranno dalla quattordicesima e riguardano circa 3,3 milioni di persone (chi avrà per la prima volta la quattordicesima e chi l’avrà aumentata).

Le nostre schede analitiche articolo per articolo.

Il rinnovo dei contratti

Si sceglie la singolare strada di un “pacchetto tutto compreso”, un fondo su cui dovrebbero gravare le assunzioni nella pubblica amministrazione e nelle forze dell’ordine, il riordino delle carriere e la proroga del bonus di 80 euro per le forze armate e corpi di polizia, i costi del rinnovo contrattuale. Le stime su quanto resterebbe per i Ccnl sono variabili, ma nessuno si spinge oltre i 900 milioni a regime, a cui aggiungere quelli che dovranno stanziare le amministrazioni non comprese in quelle centrali, tra cui università, enti pubblici di ricerca, comuni e sanità.

Si tratta di un fondo mal costruito e insufficiente. Il percorso del rinnovo nei settori pubblici continua a essere ostacolato dalla mancanza di risorse adeguate in aperto contrasto con quanto sancito, peraltro, dalla Corte costituzionale.

I nostri settori interessati dalla manovra

Università e ricerca

Spicca la diversa entità delle risorse destinate alle imprese attraverso gli incentivi finalizzati alla supposta innovazione tecnologica rispetto a quelle investite direttamente per università e enti di ricerca che sembrano collocate ìn una logica sussidiaria e marginale rispetto anche al programma industria 4.0.

A parte l’investimento pluriennale per 768 mln di euro nello Human Technopole di cui abbiamo ampiamente detto, oggi coperto dalla foglia di fico di una fondazione Miur-Mef, ci sono circa 300 milioni di euro per diverse misure a favore dell’università ma soprattutto destinate direttamente ai dipartimenti, un aumento del turn over al 50% a cui si aggiungono le risorse per il diritto allo studio. È un’inversione di tendenza da riconoscere e apprezzare perché finalmente mette il segno più su alcune priorità, ma con risorse scarse e spese, purtroppo, spesso male. Piuttosto che aumentare il fondo ordinario si cercano tutte le strade possibili per non farlo, sulla base del pregiudizio che le università siano luoghi di spreco salvo presunte eccellenze che solo una sapiente miscela di valutazioni di Palazzo Chigi e dell’Anvur possono riconoscere e giubilare. La maggior parte delle risorse previste per l’università è attribuita secondo meccanismi che bypassano quasi sempre gli atenei e lo stesso Miur, in una sorta di commissariamento sempre più forte da parte del governo, come dimostra la follia delle cattedre “Natta” per fortuna già censurate dal Consiglio di Stato. La nota positiva riguarda senza dubbio il diritto allo studio, ma anche le norme specifiche su questo versante non sono immuni dalla retorica dell’eccellenza per cui si dividono le risorse, che andrebbero destinate al fondo nazionale, in provvedimenti diversi tra cui quello istitutivo di superborse di studio (500 come le cattedre “Natta”, evidentemente un numero magico) da assegnare a studenti supermeritevoli selezionati anche in base alle valutazioni Invalsi. È positivo che finalmente si sia capito che c’è un enorme problema dato dal calo delle immatricolazioni (25% in meno rispetto al 2003) e che quindi vadano messi in campo strumenti per recuperare questo gap che ci colloca tra gli ultimi posti in Europa. Il problema è che siamo ancora purtroppo molto lontani dallo stanziare le risorse che sarebbero effettivamente necessarie ed è importante allora non “sprecare” le risorse aggiuntive che pure si mettono, vedi l’inutile spot dei 500 euro ai diciottenni, ma finalizzarle tutto per garantire il dettato costituzionale della garanzia di accesso per tutti e a tutti i livelli di istruzione, a partire dal superamento totale dello scandalo degli idonei senza borsa.

In alcuni casi, come l’aumento del fondo ordinario per gli enti di ricerca vigilati dal Miur, si tratta di vere e proprie briciole per entità e destinazione, peraltro solo a partire dal 2018, che smentiscono gli stessi contenuti della delega sulla semplificazione riproponendo la distinzione tra enti strumentali non vigilati dal Miur ed enti non strumentali. I primi non ricevono alcun aumento di risorse, ma anzi rischiano di subire il contraccolpo del taglio delle spese per i ministeri come già avvenuto in passato.

Scuola

Gli investimenti sulla scuola si aggirano sui 900 milioni di euro a regime, ma restano al di sotto delle reali necessità. Molti di questi sono la continuazione di “vecchi interventi” (scuole belle, finanziamenti alle scuole private) o mirati a sostenere gli interventi della legge 107/15 sulla scuola. Cosi si continua a promuovere iniquità e ingiustizie. E infatti ancora una volta vengono esclusi settori importanti del sistema dell'istruzione. È il caso, ad esempio, di un piano straordinario per il personale Ata e dell'istituzione della figura di assistente tecnico nella scuola del primo ciclo. Un fatto molto negativo se si considera che la stessa Ministra Giannini, in un recente incontro con i sindacati, aveva annunciato l'inserimento in finanziaria di alcuni provvedimenti che andassero oltre le stesse previsioni della legge 107/15. E invece dal testo licenziato dal governo scopriamo che: manca l'istituzione di un organico funzionale per Ata, scuola dell'infanzia, educatori e la conversione nell’organico di diritto dei posti in deroga del sostegno, circa 30.000. Senza queste misure si allontana ogni giorno di più l'orizzonte della stabilità di migliaia di precari e delle normali condizioni di funzionamento delle scuole per garantire i livelli essenziali delle prestazioni. La stessa dirigenza scolastica è assente nelle misure adottate dal governo: è negato persino un piccolo avvicinamento alla retribuzione delle altre dirigenze pubbliche di seconda fascia, e la continuità delle funzioni dirigenziali, visto che non è prevista la sostituzione dei dirigenti assenti dal servizio per una prolungata assenza temporanea con dirigenti reggenti.

Giudichiamo molto grave il permanere della norma che limita il conferimento delle supplenze brevi al personale amministrativo, tecnico e ausiliario poiché non garantisce i bisogni di funzionalità delle scuole (accresciuti anche a causa delle misure previste dalla legge 107/15). Il governo avrebbe dovuto semplicemente cancellare la norma di contenimento sulle supplenze Ata, introdotte della legge di stabilità 2015.

La nostra iniziativa

La FLC CGIL presenterà emendamenti specifici al provvedimento al fine di modificarlo in parti salienti. Risorse vere per il rinnovo del contratto, stabilizzazioni e investimenti diretti nei nostri settori, questi gli obiettivi che indicheremo. Non daremo tregua durante tutto il percorso di discussione in Parlamento affinché si giunga a un testo che renda giustizia al diritto costituzionale di milioni di lavoratori di vedersi rinnovare il contratto di lavoro.

Per saperne di più vai alle nostre schede analitiche articolo per articolo.