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Politica dell’Occupazione: norme minime sui diritti a pensione complementare

Il Parlamento si è pronunciato in prima lettura sulla direttiva volta a migliorare la trasferibilità dei diritti a pensione complementare. I deputati chiariscono il campo d'applicazione e le condizioni di acquisizione dei diritti e chiedono di garantire un trattamento equo ai lavoratori che cessino un lavoro prima di aver maturato il diritto alla pensione complementare. Nel respingere l'esplicito riferimento al diritto di trasferibilità, ne chiedono un miglioramento graduale

11/09/2007
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Scopo della proposta è ridurre gli ostacoli - sia alla libera circolazione tra Stati membri che alla mobilità all'interno di uno Stato membro - dovuti a certe disposizioni dei regimi pensionistici complementari. Tali ostacoli riguardano: le condizioni d'acquisizione dei diritti a pensione, le condizioni di salvaguardia dei diritti a pensione in sospeso e la trasferibilità dei diritti acquisiti. La proposta mira inoltre a migliorare le informazioni fornite ai lavoratori sulle conseguenze della mobilità sui loro diritti a pensione complementare.

Approvando la relazione di Ria OOMEN-RUIJTEN (PPE/DE, NL), il Parlamento sottolinea anzitutto che, dal momento che le pensioni complementari «assumono un'importanza sempre crescente», in tutti gli Stati membri dell'Unione europea, «ai fini della garanzia di un tenore di vita adeguato nella vecchiaia, è opportuno migliorare le condizioni relative all'acquisizione di diritti nonché alla salvaguardia e al trasferimento degli stessi». Precisa, inoltre, che la direttiva non obbliga gli Stati membri che non dispongono di regimi pensionistici complementari a adottare le disposizioni legislative per l'introduzione di tali regimi. Con 48 voti favorevoli, 643 contrari e 7 astensioni, il Parlamento non ha accolto la proposta del gruppo IND/DEM di respingere in toto la proposta legislativa.

Campo d'applicazione

La proposta della Commissione indica che la direttiva si applica ai regimi pensionistici complementari ad eccezione di quelli disciplinati dal regolamento sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. I deputati, propongono inoltre di escludere dal campo d'applicazione i regimi pensionistici complementari per i quali le adesioni di nuovi iscritti attivi sono cessate all'atto dell'entrata in vigore della direttiva e che restano preclusi ai nuovi iscritti, nonché quelli soggetti a misure comprendenti l'intervento di un'autorità insediata in base al diritto nazionale o di un tribunale con l'obiettivo di consolidare o ripristinare la loro situazione finanziaria, ivi compresa la procedura di liquidazione. La direttiva, infine, non si applica alle disposizioni in materia di tutela a fronte di insolvenza, adeguamenti compensativi e fondi nazionali di riserva per le pensioni.

Un emendamento chiarisce peraltro che la direttiva «concerne tutti i regimi pensionistici complementari», istituiti in base alla legislazione e alle prassi nazionali, che offrono prestazioni pensionistiche complementari ai lavoratori, «ad esempio i contratti di assicurazione di gruppo o i regimi a ripartizione convenuti da uno o più rami o settori, i regimi a capitalizzazione o le promesse di pensione garantite da riserve contabili delle imprese, o qualsiasi altro dispositivo collettivo o analogo». La direttiva, spiega un altro emendamento, deve applicarsi unicamente alle pensioni complementari che, a seconda delle disposizioni del relativo regime pensionistico o del diritto nazionale, sono subordinate al raggiungimento dell'età pensionabile o all'adempimento di altre condizioni. Non si applica, invece, «né ai regimi previdenziali individuali, ai quali non partecipi il datore di lavoro, né alle pensioni d'invalidità e superstiti».

Condizioni di acquisizione dei diritti

I deputati propongono una serie di emendamenti in merito alle misure che devono essere adottate dagli Stati membri riguardo all'acquisizione dei diritti. Così, un emendamento stabilisce che se alla cessazione del rapporto di lavoro un lavoratore in uscita non ha ancora maturato diritti acquisiti a pensione, «il regime pensionistico complementare rimborsa i contributi versati da detto lavoratore, o versati a suo nome dal datore di lavoro in conformità di disposizioni di legge o di accordi o contratti collettivi, oppure, se il lavoratore in uscita sostiene il rischio di investimento, il valore derivante da tali contributi».

Inoltre se il regime pensionistico complementare prevede un periodo di contribuzione minima, il Parlamento chiede che tale periodo non sia superiore ai cinque anni. In nessun caso, è precisato, si applicano condizioni di contribuzione minima a un membro di un regime pensionistico complementare che abbia compiuto i 25 anni. Precisa poi che in casi oggettivamente motivati, gli Stati membri possono consentire alle parti sociali di inserire nei contratti collettivi regole non discriminatorie in deroga a quanto appena indicato, «nella misura in cui tali regole assicurino agli interessati almeno una protezione equivalente».

Mantenimento di diritti a pensione in sospeso

Con un emendamento il Parlamento chiede agli Stati membri di adottare le misure che ritengono necessarie «per garantire che i lavoratori in uscita possano conservare i diritti pensionistici acquisiti nel regime pensionistico complementare nel quale sono stati maturati». E' anche precisato che devono adottare delle misure volte a «garantire un trattamento equo del valore dei diritti a pensione in sospeso» dei lavoratori in uscita in funzione del regime pensionistico, «avendo cura di tutelare tali diritti in caso di insolvenza dell'impresa». Un "lavoratore in uscita", secondo la definizione dei deputati, è «un iscritto attivo il cui attuale rapporto di lavoro cessi prima che egli abbia maturato una pensione complementare».

Il Parlamento chiarisce inoltre che un trattamento equo è garantito allorquando il valore dei diritti a pensione in sospeso «evolve per lo più nello stesso modo del valore dei diritti a pensione degli iscritti attivi», o nel regime complementare i diritti a pensione «sono definiti come un importo minimo», o il lavoratore in uscita «continua ad usufruire di un tasso di interesse integrato nel regime pensionistico». Oppure se il valore dei diritti a pensione in sospeso è adattato in funzione del tasso d'inflazione, del livello delle retribuzioni, delle prestazioni pensionistiche in corso di pagamento o del tasso di rendimento degli attivi del loro regime pensionistico complementare.

Tuttavia, gli Stati membri possono consentire ai regimi pensionistici complementari di non conservare i diritti acquisiti, ma di procedere al pagamento, al lavoratore in uscita, di un capitale equivalente ai diritti acquisiti, qualora essi non superino il limite stabilito dallo Stato membro interessato. Nel qual caso, lo Stato deve informare la Commissione del limite applicato.
Inoltre, è possibile consentire alle parti sociali di inserire nei contratti collettivi regole che deroghino a quanto sopra indicato, «nella misura in cui tali regole assicurino agli interessati almeno una protezione equivalente».

Migliorare gradualmente la trasferibilità

Per il Parlamento, la direttiva non deve proporsi di limitare le possibilità di trasferire i diritti pensionistici acquisiti dai lavoratori in uscita. Al fine di promuovere la libera circolazione dei lavoratori, pertanto, gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per «migliorare gradualmente», per quanto possibile, «la trasferibilità dei diritti pensionistici acquisiti, in particolare all'atto della costituzione di nuovi regimi pensionistici complementari». Propone quindi un approccio più prudente rispetto alle intenzioni della Commissione, opponendosi all'idea di includere nella direttiva il diritto alla trasferibilità della pensione presso un altro datore di lavoro di un diverso Stato membro.

Diritto all'informazione

Gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per garantire ai lavoratori attivi la facoltà di richiedere informazioni in merito alle conseguenze sui loro diritti a pensione complementare in caso di cessazione del rapporto di lavoro. Entro un termine ragionevole, e per iscritto, devono quindi poter disporre di informazioni sufficienti riguardo alle condizioni di acquisizione dei diritti a pensione complementare e le conseguenze della loro applicazione in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alle prestazioni pensionistiche previste in caso di cessazione del rapporto di lavoro nonché all'importo e alla salvaguardia dei diritti a pensione in sospeso.

Background, la posizione dei Paesi Bassi al Consiglio

Il tentativo di giungere a un compromesso con il Consiglio già in prima lettura è fallito a causa del veto posto dalla delegazione ministeriale olandese sulla proposta. I Paesi Bassi dubitano che la direttiva consenta di raggiungere l'obiettivo di rafforzare la mobilità del lavoro. Ritengono infatti che, nonostante la proposta sia stata oggetto di 18 mesi di intensi lavori, il risultato è un testo molto annacquato con un lungo elenco di esclusioni che restringono ulteriormente il già limitato campo di applicazione.

Rilevano inoltre che non è chiaro quanti regimi pensionistici siano interessati e sostengono che l'impatto della direttiva sugli Stati membri sarebbe, in ogni caso, estremamente diseguale, dato che alcuni Stati membri non ne sono pressoché interessati. Hanno anche espresso il timore che, per motivi di incertezza giuridica, la direttiva possa portare a ricorsi dinanzi alla Corte di giustizia europea.
Non è quindi ancora chiaro il seguito che sarà dato a questa proposta di direttiva visto che, nel campo della sicurezza sociale, il Consiglio ha bisogno dell'unanimità per deliberare.

Roma, 11 settembre 2007