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Il puzzle scolastico della Bosnia

Divisi praticamente in 12 ordinamenti scolastici diversi e segreganti gli alunni della Bosnia rischiano di costituire una generazione inclinea riaprire le ostilità.

08/11/2006
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Undici anni dopo la fine della guerra sembra che la scuola bosniaca non possa dirsi ancora veramente in pace. Gli accodidi Dayton che posero fine alla guerra civile divisero il territorio di fatto in due entità: la Repubblica Serba che ha ricostruito il suo sistema scolastico su basi strettamente etniche e la Federazione Croato-Mussulmana costituita a sua volta da 11 cantoni ognuno col suo ministero dell’educazione.

Nella Federazione Croato-Mussulmana si contano 54 scuole che praticano la segregazione etnica con solo due scuole in cui le due etnie studiano sotto lo stesso tetto, in città abitate sia da croati (cattolici) che da mussulmani. Non mancano i casi in cui i genitori di un’etnia rifiutano di mandare i figli in scuole dove predomina un’altra etnia e spesso le scuole stesse sono ancorate al recente passato della guerra civile portando i nomi di caduti di una delle parti o di brigate militari impegnate nel conflitto.

Il kaos politico e amministrativo rafforza questa situazione di segregazione: la moltiplicazione dei poteri produce la moltiplicazione dei programmi, soprattutto di quelli di storia che viene insegnata da punti di vista opposti non solo nelle due entità, ma anche negli 11 cantoni. Persino la lingua, il serbo-croato, che è sempre stata praticamente unica, viene insegnata con le inflessioni dialettali differenti nelle scuole serbe, nelle classi croate e in quelle mussulmane.E gli orari sono sovente diversi.

L’autorità internazionale che di fatto sovrintende all’unità della Bosnia ha tardato ad intervenire sull’argomento. L’agenziaper l’educazione, che doveva essere formata per garantire un sistema formativo unificato, non ha mai visto la luce. Dal 2004 una legge è in preparazione ma è per ora bloccata.

Gli osservatori più pessimisti temono che se non ci saranno cambiamenti si andrà formare una generazione di cittadini disponibili a mettere in discussione la pace del 1995.

Roma, 8 novembre 2006