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CSEE-ETUCE: conferenza finale del progetto sul dialogo sociale nell’educazione in Europa

L’effetto della crisi sul dialogo sociale in Europa. Il caso italiano: una buona tenuta sindacale cerca di resistere alle tendenze prodotte dalla crisi.

11/11/2014
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Si è svolta nei giorni 4 e 5 novembre a Bruxelles la conferenza  sul dialogo sociale nell‘istruzione, atto finale di un progetto finanziato dall’UE, volto a promuovere il dialogo tripartito (sindacati, governi, datori lavoro) anche nel nostro settore. La conferenza ha visto la partecipazione di una settantina di persone in rappresentanza di  32 sindacati di 28 paesi (25 UE e 3 candidati), di due ministeri nazionali, di alcune organizzazioni datoriali e, naturalmente, della CSEE-ETUCE, dell’EFEE ( associazione europea dei datori di lavoro nell’educazione), della Commissione Europea . E’ stato proiettato un breve documentario,  realizzato dalla Commissione Europea, dal titolo “ Il dialogo sociale europeo e come funziona”.  La FLC CGIL era l’unico sindacato italiano presente.

Al centro della discussione il rafforzamento del rapporto tra dialogo sociale europeo e dialogo sociale nazionale. I temi trattati sono stati soprattutto legati ai seguenti argomenti: le aspettative  e le sfide nei paesi candidati all’entrata nella UE (tema trattato Z. Pavicevic, del Sindacato dell’Educazione, e da V.Gajevic del ministero del Montenegro);  esperienze e conclusioni sul dialogo sociale a livello di UE (M.Romer, direttore del CSEE-ETUCE, Bianka Stege , Segretaria generale dell’EFEE, J.P. Tricart, Commissione Europea);  il dialogo sociale come elemento portante del modello sociale europeo (P.Ischert, CSE-ETUC); la contrattazione nell’Europa dell’Est (I.G. Szabo, Central  European  University di Budapest); il progetto di uno studio sul dialogo sociale settoriale (L. van Criekingen , SECAFI); gli effetti della crisi sul dialogo sociale in Europa (C. Welz, Eurofund).

Quest’ultima relazione è stata particolarmente interessante e merita qui un breve sunto sia per rendersi conto di quali effetti stia producendo al crisi sulle relazioni sindacali nei diversi paesi europei sia per le considerazioni che possono riguardare il nostro paese. La crisi infatti sta producendo modificazioni significative. Mentre fino al 2010 si registrava un incremento del dialogo sociale tripartito in una decina di paesi UE , dopo il 2010 in una dozzina di paesi, tra cui l’Italia, si registra un’interruzione del dialogo, in altri sette si registra si registra una riorganizzazione del sistema di relazioni, in sette si registra una diminuzione di visibilità, in sette un nuovo equilibrio tra i soggetti interessati. In dieci si registra un incremento dell’unilateralismo da parte del governo. Tra questi non era compresa l’Italia, ma il rappresentante della FLC non ha mancato di segnalare l’opportunità di comprendervi il nostro paese, il cui governo, essendo a capo del semestre europeo, usa evidentemente due linguaggi diversi a Bruxelles e a Roma.

Solo quattro paesi registrano un incremento della cooperazione tra le parti (Germania, Ungheria, Lituania e Paesi Bassi), mentre in altri quattro sono emersi nuovi movimenti sociali (Spagna, Grecia, Portogallo e Slovenia).

In dieci paesi si registra un calo delle iscrizioni sindacali. Tra questi non vi è l’Italia. Anzi l’insieme del sindacalismo italiano copre un onorevole sesto posto nel quadro europeo dei  più rappresentativi con il 37% della rappresentanza dei lavoratori dipendenti attivi, dopo Finlandia (74%), Svezia (70%), Danimarca (67%), la piccola Malta (59%) e il Belgio (52%). Il sindacalismo italiano si colloca perciò al primo posto nella fascia medio alta, superiore alla media UE (29%), e al sindacalismo degli altri paesi più popolosi  come il Regno Unito (26%), la Germania (18%), la Spagna (16%), la Polonia (10%), la Francia (8%).  Inoltre esso è dato come sostanzialmente stabile. C’è da dire che come organizzazione anche i datori di lavoro non scherzano. Ovunque (tranne che nei paesi scandinavi) sono praticamente più organizzati dei lavoratori: 56% nell’UE,  58% in Italia.  

Nonostante una tendenza alla decentralizzazione della contrattazione si registri anche da noi come in molti altri paesi europei (tranne Belgio e Finlandia, dove si registra una tendenza opposta!), l’Italia mantiene anche un livello abbastanza alto di contrattazione collettiva (80% di copertura della forza lavoro),  superiore alla media europea (51%), come la maggior parte dei paesi occidentali  (tranne il Regno Unito e l’Irlanda) e contrariamente all’Est Europeo (tranne Slovenia e  Croazia). Si tratta tuttavia di una contrattazione prevalentemente settoriale  (di categoria) e tra sindacati e datori di lavoro, soprattutto a livello di retribuzioni,  mentre il dialogo tripartito, tipico di una contrattazione intersettoriale, è caratteristico di paesi come il Belgio, la Finlandia e la Slovenia. In Italia e in un’altra dozzina di paesi il contratto collettivo prevede tuttavia l’apertura a contrattazioni decentrate o aziendali.  L’effetto è comunque quello di un calo nelle retribuzioni (come in un’altra ventina di paesi) e ad una riduzione degli orari (come in un’altra dozzina di paesi).

Si direbbe che una consolidata tradizione sindacale e di dialogo sociale attenuino le forti tendenze al peggioramento di queste relazioni del nostro paese. Infatti complessivamente dal punto di vista dell’impatto della crisi sulle relazioni sindacali l’Italia si trova tuttavia allo stadio di severità  3, insieme a Slovenia,  Croazia, Ungheria e Bulgaria, migliore di quello in cui si trovano Irlanda, Cipro, Grecia, Spagna , Portogallo e Romania (stadio di severità 4), ma peggiore che in tutti gli altri paesi europei (stadi 0, 1 e 2).